domenica 30 settembre 2018

I GIALLI DEI "GIALLI"


Prima della guerra fredda con la Russia, per gli Stati Uniti la minaccia arriva da ancora più lontano, dal misterioso Oriente al grido di “pericolo giallo!”. Le storie di detective, come quelle di avventura e di guerra, hanno spesso bisogno di un nemico facilmente identificabile, una minaccia da sventare. Che sarebbe Sherlock Holmes senza Moriarty, o James Bond senza il KGB russo? Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento l’Occidente teme Cina e Giappone per svariati motivi. Innanzitutto la supremazia demografica, la sola Cina già allora vanta oltre quattrocento milioni di abitanti, potendo così mettere in campo un esercito potenzialmente composto da milioni di soldati. Poi quelle asiatiche sono culture molto differenti, spesso difficili da comprendere per il pubblico europeo e americano. Infine, nel conflitto russo/giapponese del 1904 a trionfare è il Giappone, creando un precedente preoccupante: è la prima volta che un esercito asiatico ne sconfigge uno occidentale. Insomma, una esplosiva miscela di timore, razzismo e ignoranza, spesso supportata da teorici economici e politici, si diffonde tra le popolazioni e raggiunge anche la narrativa di genere. Lo scrittore inglese Sax Rohmer (1883 - 1959) nel 1912 pubblica The Mistery of Dr. Fu Manchu, in Italia Il mistero del dott. Fu Manchu. Signore del crimine, genio del male, impersonificazione del temuto pericolo giallo, Fu Manchu vuole sconfiggere la “razza bianca” e ha l’aspetto stereotipato del cinese malvagio: occhi sottili e penetranti, lunghissimi baffi spioventi, unghie esagerate. A contrastarlo ci sono due detective inglesi, sir Denis Nayland Smith e il dottor Petrie, che hanno sempre la meglio per il rotto della cuffia senza però riuscire a batterlo del tutto, lasciando quindi la strada aperta a vari sequel.
Fu Manchu è ben presto seguito da vari epigoni, come Wu fang e il dr. Yen Sin, questa volta pubblicati sui pulp, riviste popolari americane poco pretenziose dal punto di vista letterario ma straboccanti di storie avvincenti e dalle copertine ipnotiche, spesso occupate proprio da quei pericolosi cinesi dagli sguardi agghiaccianti e dalle malvagie intenzioni. L’immagine del “giallo” malvagio rimbalza un po’ su tutti i media e finisce anche sui fumetti: l’alieno Ming, avversario di Flash Gordon, ha il medesimo aspetto di Fu Manchu, che tra l’altro negli anni Settanta viene recuperato per diventare l’avversario di Shang-Chi, eroe delle arti marziali dei fumetti Marvel Comics.



ARRIVA CHARLIE CHAN
Nel 1925 a contrastare la visione negativa degli orientali nei romanzi polizieschi arriva Charlie Chan, un detective cinese uscito dalla penna di Earl Derr Biggers (1884-1933). Questo romanziere statunitense ispirandosi a un poliziotto realmente esistente dà vita alla figura di un ispettore di Honolulu, corpulento ma dal passo lieve, che con sottile umorismo, citazioni confuciane e azzeccati aforismi risolve i casi più intricati. La prima indagine di Chan, The House without a Key nota in Italia come Charlie Chan e la casa senza chiavi, è datata 1925 e viene pubblicata a puntate sulla rivista Saturday Evening Post e in seguito in volume. Il personaggio riscuote subito un buon successo, diventando protagonista di altre cinque avventure prima che Biggers muoia di infarto. Tuttavia, Chan continua a vivere anche in assenza del suo creatore, dato che Hollywood, a partire dal 1926, gli dedica svariati film, prima basandosi sui romanzi poi facendo scrivere nuove sceneggiature. Sono quasi cinquanta i lungometraggi di cui è protagonista, cui si sommano una serie televisiva, Le avventure di Charlie Chan, e una cartoni animati prodotta da Hanna e Barbera, Il clan di Charlie Chan.
Come già segnalato, nel suo lavoro Chan fa uso di saggezza cinese e di quelli che definisce i “sette fiori”: cortesia, umorismo, pazienza, lentezza, rassegnazione, umiltà, prudenza. La popolarità del personaggio raggiunge anche il suo Paese d’origine, la Cina. Dopo i cinesi espatriati negli Stati Uniti, infatti, sono quelli della madre patria ad apprezzare le gesta del loro connazionale, soprattutto grazie ai film che a partire dagli anni Trenta vengono tradotti in cinese. Pare che quando Warner Oland, che interpreta Chan in 16 film a partire dal 1931, si reca in Cina molti quotidiani locali gli dedichino svariati articoli e che l’attore venga rispettosamente chiamato “Mr. Chan”.
Una segnalazione anche per i fumetti di Charlie Chan, disegnati con successo Alfred Andriola dal 1938 al 1942, per poi passare alla matita di altri artisti meno ispirati e tuttavia molto seguiti.


LE INDAGINI DEI GIUDICI
Dopo Charlie Chan, altri cinesi diventano protagonisti di storie in giallo, non si tratta però di detective, bensì di giudici.
Lo scrittore e orientalista olandese Robert Van Gulik (1910 - 1967) nel 1949 riporta alla luce una raccolta di antichi polizieschi cinesi intitolata Di gong’ an, I celebri casi del giudice Dee, il cui protagonista è, appunto, un giudice. L’operazione non ha grande successo, Van Gulik decide quindi di scrivere di suo pugno nuove avventure di Dee, anche se con caratteristiche più vicine al poliziesco occidentale che non alle storie di casi legali tipicamente cinesi. Queste ultime, infatti, più che sull’identificazione del colpevole, spesso noto fin dalle prime pagine, preferiscono concentrasti sulla metodologia del giudice/investigatore, sulla comprensione delle motivazioni del colpevole e sulla punizione che lo aspetta, formando un puzzle nel quale alla fine deve essere la giustizia a trionfare e va ristabilito l’ordine sociale. Gong’ an (“caso legale”), quindi, diventa il nome di un vero e proprio genere letterario incentrato principalmente sui giudici, popolare in Cina dal quattordicesimo fino al diciannovesimo secolo.
Tornando a Van Gulik, nel 1956 scrive il primo romanzo del Giudice Dee totalmente suo, I delitti del labirinto cinese, a cui ne seguono altri tredici e alcuni racconti. Ambientati nell’antica Cina, vedono il giudice alle prese con delitti da risolvere, ma anche con un Paese fatto di diseguaglianze, dove certo non mancano povertà e miseria. Facendo uso della logica, Dee risolve casi molto intricati.
Nel 2010 tocca al francese Patrick Marty, sceneggiatore, e al cinese Chogrui Nie, disegnatore dal tratto realistico, portare nuovamente alla ribalta in Occidente un giudice cinese, il Giudice Bao protagonista di un fumetto. Bao mostra una rigida intolleranza verso ogni forma di criminalità e si impegna nel punire severamente chi commette soprusi, al contrario è sempre pietoso nei confronti delle vittime, tanto da venire indicato come difensore dei deboli. Il giudice Bao e i suoi collaboratori – la guardia del corpo Zhan Zhao, il medico Gongsun Ce, il giovane allievo Bao Xing – percorrono una Cina ben descritta e fortemente corrotta.
Bao è ispirato a un giudice realmente esistito, Bao Zheng (999 - 1062), noto anche come Bao Gong (“Signor Bao”), un magistrato governativo noto per la sua onestà e imparzialità, a tal punto da arrivare a condannare parenti e persone vicine all’Imperatore cinese, oltre che impegnato nel combattere la corruzione. Tanta popolarità dopo la sua morte gli consente di entrare a far parte dell’immaginario collettivo giapponese, protagonista di storie, romanzi e opere teatrali nelle quali investiga, risolve casi criminali e condanna i colpevoli.
Come accade col giudice Dee, anche nelle storie del giudice Bao il protagonista non solo deve investigare, ma, in quanto rappresentante della legge e della giustizia, suo preciso compito è riportare l’ordine e la pace nei territori di sua competenza, se non in tutta la Cina.



INVESTIGATORI MODERNI
Alla fine dell’Ottocento, in Cina il genere gong’ an entra in crisi. Nel Novecento, grazie alle prime traduzioni di opere investigative occidentali, come quelle di Conan Doyle col suo Sherlock Holmes, la figura del giudice comincia a essere sostituita da quella del detective. Tra i responsabili della svolta vi è il anche il traduttore giapponese di Holmes, Cheng Xiaoqing (1893 - 1976), che dopo essersi dedicato alle opere dello scrittore inglese nel 1914 crea il proprio detective. Huo Sang, questo il suo nome, si muove nella Cina degli anni Venti, in una Shangai detta “la Parigi d’Oriente”. Assieme all’assistente Bao lang, che ricorda Watson e che come lui è il narratore delle storie, risolve complessi casi in una metropoli che ospita ricchezza e mondanità ma anche povertà e crimine. Esattamente come l’ispiratore inglese, Huo Sang usa la deduzione quale principale strumento del suo lavoro, osserva ogni minuscolo dettaglio, sviscera ogni minimo indizio, trasformandoli in pezzi di un puzzle che riesce immancabilmente a completare. La sua genialità investigativa viene ammirata da alcuni poliziotti, vista con sospetto e invidia da altri, ma l’imperturbabile protagonista non si lascia rallentare né da lusinghe né da critiche e i racconti/casi che lo vedono all’opera contano oltre trenta volumi. Inoltre, seguendo la tradizione occidentale, Cheng e Huo portano al centro dell’attenzione l’indagine, rafforzando l’elemento suspance, a discapito dei processi e delle sentenze.
Sempre a Shangai, a quanto pare palcoscenico preferito dei giallisti cinesi, si muove l’ispettore Chen Cao, uscito dalla penna di Qui Xiaolong (1953). Si tratta, però, di una Shangai molto differente, quella degli anni Novanta, controllata come il resto della Cina dal granitico Partito Comunista Cinese. Ed è proprio il PCC a partire dal 1949, anno in cui sale al potere, a proibire il genere giallo, che ritiene istigatore di desideri violenti e in contrasto con la società socialista. Un divieto che verrà ritirato solo nel 1978, ma nel frattempo molti scrittori hanno lasciato il Paese per trasferirsi altrove. Come Qui Xiaolong, che nel 2000 dà alle stampe negli Stati Uniti il primo dei nove romanzi di Chen: Death of a Red Heroine, in Italia La misteriosa morte della compagna Guan. Nonostante il protagonista sia un giovane traumatizzato dalle violenze subite durante la Rivoluzione Culturale maoista, e nonostante sia un poeta idealista e sognatore, laureato in letteratura, si ritrova assegnato al dipartimento di polizia, destinato suo malgrado a fare rispettare la legge. Comandante in capo della squadra casi speciali del Dipartimento di polizia di Shangai, Chen deve impiegare la logica come consuetudine, ma usare molta più discrezione dei suoi predecessori, per non turbare il delicato equilibrio politico locale.
Oltre che protagonista dei casi che deve risolvere, Chen è spettatore dei grandi cambiamento che percorrono tutta la società cinese, perché il genere poliziesco può essere anche questo, un testimone dei tempi.


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