mercoledì 30 gennaio 2019

COCCO BILL & GLI ALTRI


In edicola è nuovamente in distribuzione il collezionabile dedicato a Jacovitti. Ecco, allora, un mio pezzullo. Bang! Bang!


Il suo stile è facilmente riconoscibile, le sue vignette sono un tripudio di dettagli e trovate folli, inclusi caratteristici oggetti (lische di pesce, salami, matite, ecc.) che sbucano inspiegabilmente dal terreno. I personaggi, gommosi e dai nasoni ingombranti, si muovono con disinvoltura e saltano come molle. L’umorismo è surreale e imprevedibile. La costruzione delle vignette originale e svincolata da qualsivoglia regola. Le onomatopee di “costruzione propria”, dato che spesso ai classici “bang” e “sdoing” preferisce i più italici “banghete”, “schiaffon”, “bummete”, “zacchete” e chi più ne ha più ne metta.
Ormai avrete capito che stiamo parlando di Benito Franco Giuseppe Jacovitti (1923-1997), noto semplicemente come Jacovitti o con l’ancor più breve Jac, nostrano artista (ma forse avrebbe preferito artigiano) delle nuvolette molto apprezzato nel nostro Paese ma forse non sufficientemente valorizzato. Fino a oggi.
Da molti mesi, infatti, la casa editrice Hachette distribuisce in edicola una collana di volumi a fumetti interamente dedicatagli, incentrata soprattutto sui suoi due characters più noti: Cocco Bill e Zorry Kid.
Il primo colpo di pistola Cocco Bill lo esplode il 28 marzo del 1957, su Il Giorno dei ragazzi, supplemento settimanale del quotidiano Il Giorno. Anzi, si tratta di una scarica di colpi di pistola: Bang! Bang! Bang! Bang! A riceverli, sul muso, è un malcapitato prepotente da saloon, che Cocco Bill apostrofa in tal guisa: “amico, hai bisogno di una sciacquatina di piombo ai denti!” Il manigoldo, infatti, è reo di aver sfottuto il neonato eroe a causa della sua passione per la camomilla a discapito degli alcolici. Il carattere del personaggio è insomma già definito, graficamente però e abbastanza diverso da come lo conosciamo oggi, essendo parecchio più basso e un poco più tozzo. Poco male, ben presto il virgulto si sviluppa e raggiunge l’altezza a tutti ben nota.
Cocco Bill si muove nelle praterie del Colorado del milleottocentosessantaquindici, nel mitico lontano ovest, o Far West per dirla all’americana. Non ama soprusi e prepotenti ed è rapidissimo con le pistole, che estrae dalle fondine con movimenti sinuosi e imprevedibili, evidenziati da scie curviformi da far invidia alle linee cinetiche dei fumetti giapponesi. È inoltre in grado di compiere acrobatiche imprese da far impallidire gli artisti circensi, come camminare su una gragnuola di proiettili, piroettare su se stesso lanciando calci volanti, effettuare capriole sparando e altri incredibili prodigi di coordinazione e movimento. È, in poche parole, l’unico e il solo Cocco Bill.
Nelle storie di Cocco Bill i topoi western vengono tutti rivisitati in chiave personale, adattati alle esigenze grafiche e narrative di un mondo movimentatissimo e stravagante. Così, oltre ai cowboy, nei fumetti di Jacovitti trovano spazio gli sheepboy (dediti alla cura delle pecore invece che delle mucche), mentre di fronte a un assalto alla diligenza sono i cavalli dal alzare per primi le mani, pardon, le zampe in segno di resa. I saloon di Cocco Bill sono davvero affollati, altro che quelli dei film, da un tripudio di personaggi intenti alle più varie occupazioni: sbronzarsi, scazzottarsi, giocare a poker, sparare, brindare, ecc. Il tutto condito dall’immancabile strimpellio di un pianista che pigia forte i tasti di un pianoforte sgangherato, sul quale troneggia il cartello “guai a chi spara sul pianista!” In mezzo a tutto questo bailamme spicca lui, Cocco Bill, sempre pronto a farsi valer in un duello a colpi di colt: banghete! banghete!
Difficile rivaleggiare in popolarità con Cocco Bill, ma ci prova il “fratello” spadaccino Zorry Kid.
Zorry Kid nasce come parodia di Zorro, che in spagnolo significa volpe, celebre personaggio nato nel 1919 sui pulp americani e approdato al successo internazionale grazie a innumerevoli film e telefilm.
Ma, appena nato, il pargolo si distacca immediatamente dall’illustre genitore per acquisire vita propria, completa autonomia, caratteristiche personali. Zorry Kid viene infatti immerso nel surreale mondo di Jacovitti, in cui non solo ogni storia, ma anche ogni singolo dettaglio di ogni pagina e di ogni vignetta ha risvolti divertenti e sfumature assurde.
La prima apparizione di Zorry Kid è datata 1968, e avviene sul Corriere dei Piccoli. Zorry Kid è il nome dell’eroe mascherato, un nome americanizzante perché desidera che la California di inizio Ottocento diventi libera e indipendente, proprio come gli Stati Uniti.
Spadaccino provetto, o presunto tale, Zorry Kid si batte contro gli spietati lanzeros, i soldati al servizio degli altrettanto spietati governanti locali. Questi non esitano ad arrestare e maltrattare chiunque esprima un dissenso, inclusi vecchi, donne e bambini. Ma, per dirla con parole sue, “a Zorry Kid non la si fa sol mi re do”, quindi espada in pugno affronta i temibili avversari in duelli che sembrano acrobatici balletti, un piroettare di lame la cui conclusione vede sempre el Zorry vincitore e una lettera zeta apparire sul fondoschiena, o su altra parte anatomica, dei malcapitati soldati. Il vendicatore mascherato, infatti, a colpi di spada infligge il suo marchio sul nemico, ma spesso si sbaglia lasciando quale firma una enne, oppure una bi, creando non poca confusione nella mente dei nemici.
Ma chi è Zorry Kid? Dietro questo misterioso caballero mascherado si nasconde Kid Paloma, ragazzotto di famiglia benestante e grande appassionato di ballo, flamengo soprattutto ma anche tango, cucaracia, conga, raspa, ciaciacià, tarantellon. Così come Zorry agita con maestria la sua lama, Paloma muove con indomita frequenza piedi e braccia, dando vita a coreografiche sequenze di giravolte, arabesque e fouetté. Nessuno sospetterebbe mai che dietro quel buono a nulla danzante si cela il più temibile nemico dell’ordine costituito. Ma indossata una mascherina e saltato in groppa al suo destriero Saratoga, ugualmente mascherato, Paloma divenga Zorry e attraverso un passaggio segreto, che inizia da un cassetto del comò finendo nel cortile di casa, sbuca da un vecchio albero per lanciarsi in una nuova avventura.
Per quanto le storie di Cocco Bill come quelle di Zorry Kid rispondano a una trama ben precisa, le loro tavole sono quanto di più anarchico possa esistere, perfettamente in linea col carattere del loro creatore che non ha mai amato costrizioni di nessun genere. “Vietato cosare!” intimava un cartello nel suo studio, perfetta sintesi di un desiderio di libertà e ironia che Jac cercava di esercitare anche nella vita di tutti i giorni, ma che ha trovato piene realizzazione nelle sue opere a fumetti. Opere che ancora oggi divertono e stupiscono come sessant’anni fa.

Benito Jacovitti
Cocco Bill e il meglio di Jacovitti
Hachette
pp. 56, euro 7,99 cad. (70 volumi settimanali)

lunedì 14 gennaio 2019

LA NUOVA FRONTIERA DC


Dato che è stato recentemente ristampato il fumetto "La Nuova Frontiera" (in edizione lussuosissima) del compianto Darwyn Cooke (scomparso prematuramente nel 2016), rispolvero una mia vecchia recensione.

Anche le vecchie glorie, se affidate a giovani mani e menti vivaci, possono sorprendere per vitalità e innovazione. È quanto accaduto alla Justice League, uno dei pù vecchi supergruppi della DC Comics (nato sulle ceneri della Justice Society of America), in cui militano tipetti come Batman, Superman e Wonder Woman, giusto per citare i più noti ma non necessariamente i più interessanti. Come può essere innovativo un gruppo che calca le scene da qualche decennio? Semplice, affidandole a un giovane artista tra i più interessanti dell’attuale scena americana, Darwyn Cooke, che lo rende protagonista di una straordinaria miniserie a fumetti (edita in due volumi anche in Italia e ora ristampata in un unico tomo) poi trasformata in un lungometraggio animato. Stiamo parlando di Justice League the New Frontier, un’operazione multimediale che è molto più di un semplice svecchiamento di un gruppo di eroi apparentemente logori, ma anche un atto d’amore nei confronti degli stessi, e una storia avvincente che scava a fondo nella loro personalità, nonché nei sogni e nel disincanto di un’America anni Cinquanta che ricorda molto quella dei nostri giorni. Il colpo di genio di Cooke consiste proprio nell’ambientare la vicenda in un periodo particolare per gli Usa, che usciti vittoriosi dalla Seconda guerra mondiale e pronti ad abbracciare le meraviglie della scienza e della tecnologia, devono immediatamente rintuzzare gli entusiasmi di fronte alla guerra di Corea, l’arrivo della guerra fredda e l’incombere del pericolo atomico. Un periodo, insomma, ricco di contraddizioni, tra cui i supereroi. Il governo americano ben presto mette fuori legge questi giustizieri mascherati. Coloro che non accettano tale decisione vengono braccati come delinquenti, visti con sospetto dalla popolazione. Memorabile la battuta di un comune cittadino che sottolinea con malevolo sarcasmo che il costume di Flash è rosso, il colore dei comunisti. Batman, anarchico come sempre, è l’unico che si rifiuta di subire le disposizioni governative, mentre Superman diventa una sorta di lacché del governo. In una posizione intermedia si trova Wonder Woman, che in realtà non è americana, ma che porta con sé un femminismo duro e dirompente per il mondo di metà Novecento. Messi i costumi sotto naftalina, gli eroi sembrano rassegnati alla loro uscita di scena, fino a quando una minaccia di proporzioni spaventose sveglia l’America dal suo torpore retrogrado e li richiama in campo. The Centre – creatura mostruosa, gigantesca e apparentemente invincibile (forse metafora dell’ignoranza bigotta dell’uomo) – può essere fermata solo dall’azione combinata di tutte le forze in gioco, dall’esercito e dai supereroi pronti a battersi fianco a fianco. È tempo di eroi, prima che di supereroi, di uomini e donne pronte al sacrificio per un bene più alto. In fondo è proprio questo il tema centrale della storia, come ha sottolineato lo stesso Darwin Cooke nel commentare la sua opera. Non a caso uno dei personaggi principali è Hal Jordan, pilota di arerei destinato a diventare Lanterna Verde, ma il cui apporto più significativo, a livello umano e narrativo, avviene prima che si trasformi in un supereroe. Il film in animazione per questioni di tempo è costretto a tagliare molte parti del fumetto originario, ma ne lascia intatto lo spirito e riesce anche a replicarne sullo schermo il tratto moderno e spigoloso, la ricerca di un segno essenziale ma efficace, che sa essere adulto e talvolta “cattivo” senza bisogno di cercare il realismo. Un disegno, tra l’altro, che ben si sposa con le esigenze dell’animazione, fluida e piacevole, e che si fonde ottimamente col design anni Cinquanta che rappresenta un altro dei punti forti della pellicola. Insomma, una visione fortemente consigliata.


mercoledì 2 gennaio 2019

RICORDANDO GRAZIA NIDASIO

Il 24 dicembre del 2018 è venuta a mancare Grazia a Nidasio. La ricordo con questa biografia che scrissi per il volume "Fumetto! 150 anni di Storie italiane" della Rizzoli (ancora in commercio).


Molto più che una semplice fumettista, Grazia Nidasio è anche una narratrice, un’illustratrice, un’artista in grado di usare il disegno per raccontare storie e persone. Il medium fumetto per lei non è mai “rigido”, vincolato in gabbie e riquadri, ma strumento malleabile nelle mani dell’autore. Non a caso nelle tavole del suo personaggio più famoso, Valentina, praticamente non esistono vignette squadrate o di forma regolare, al contrario numerosissimi e multiformi spazi, spesso perfino privi di contorni, dai moltissimi colori ed entro cui “galleggiano” balloons e didascalie. Eppure, nulla appare confuso o disordinato, al contrario la narrazione prosegue spedita e piacevole, in pagine che sembrano quasi arabeschi in stile art decò. E se l’aspetto grafico è originale e perfettamente padroneggiato, non di meno è quello narrativo. I suoi fumetti della Vale e della sorellina Stefi sono lenti di ingrandimento per osservare la società, sono strumenti per raccontare la famiglia italiana (e non solo). Di più, sono veri e propri mezzi di comunicazione utilizzati per raggiungere il pubblico (o i pubblici) coetaneo delle protagoniste, persino opportunità per fornire consigli e portare avanti campagne ambientaliste. Tutto ciò anche grazie ai personaggi, credibili, “veri”, e quindi visti dai giovani lettori come “amici di carta”.
Grazia Nidasio nasce a Milano nel 1931. Dopo aver conseguito il diploma al liceo artistico di Brera, si iscrive ai corsi regolari dell’Accademia con indirizzo in scultura e frequenta nel contempo la Scuola Serale del Nudo. Esordisce come illustratrice nel 1952 sul Corriere dei Piccoli, testata che un anno dopo ospita anche il suo primo fumetto. Si tratta di Alibella, una graziosa bambina con ali di farfalla. Nel marzo del 1954 tocca a Gelsomino, un ladro buono che agisce in tavole con didascalia in rima baciata, come consuetudine del Corrierino.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta inizia a lavorare nell’ambito dell’editoria per ragazzi, firmando illustrazioni per l’editrice Marzocco e per Cino del Duca, a cui seguono, negli anni Sessanta, AMZ, Mursia, Salani, Einaudi, Mondadori e molti altri.
Dal 1961 realizza, ancora per il Corriere dei Piccoli e su testi di Guglielmo Zucconi, le tavole di Violante, cominciando a prendere dimestichezza con l’universo adolescenziale.
Nel 1964 tocca al Dottor Oss, più romanzo illustrato che fumetto vero e proprio, ottenuto adattando su testi di Mino Milani un’opera di Jules Verne.
Il 12 ottobre del 1969, sul Corriere dei Piccoli, appare il primo episodio di Valentina Mela Verde, destinata a essere pubblicata fino al 1976, passando nel 1972 sulle pagine del Corriere dei Ragazzi. Con la chiusura di quest’ultimo, cessa le pubblicazioni anche Valentina, ma le sopravvive la sorellina Stefi, da comprimaria diventata protagonista, le cui storie tornano sul Corrierino.
La chiusura della storica testata comporta la fine delle serie pubblicate con successo per tanti anni, ma la Stefi rimane nel ruolo di commentatrice in vignette satirico-umoristiche pubblicate settimanalmente dal Corriere della Sera, e in seguito diverrà protagonista di una serie in animazione.
Intanto la Nidasio prosegue il suo intenso lavoro da illustratrice, dai libri per l’infanzia alla collaborazione con i periodici, dalle vignette per i quotidiani alla divulgazione storico-scientifica, senza dimenticare le fruttuose incursioni nel campo della pubblicità e dell’animazione. Un’attività che frutta numerosi premi e riconoscimenti, fra gli altri: il Premio Andersen, come miglior autore nel 1987; il Premio Ford Foundation per la divulgazione scientifica sui Problemi Ambientali, la menzione speciale alla carriera assegnatale nel 2001 dalla prestigiosa giuria dell’Andersen che, nel 2006 ha anche scelto il titolo L’universo di Margherita da lei illustrato come il miglior libro di divulgazione dell’anno. Scompare il 24 dicembre del 2018.