domenica 26 agosto 2012

VENTIMILA LEGHE SOTTO I MARI (con illustrazioni di Sergio Toppi)


“Corre voce che lei sia un pirata.” È con queste scarne parole che, nel film La leggenda degli Uomini Straordinari (poco felice adattamento del fumetto La lega degli straordinari gentlemen), Sean Connery nei panni di un attempato Allan Quatermain accoglie il capitano Nemo. Qualche scena più tardi, l'inglese corregge il tiro: “Forse sono stato troppo malevolo quando l'ho chiamata pirata.” E il principe indiano ribatte: “E io forse troppo benevolo quando ho detto che non lo ero.” 
Già, perchè la figura di Nemo, nata nel romanzo del 1870 Ventimila leghe sotto i mari (in originale: Vingt-mille lieues sous les mers) non è certo quella tipica del pirata settecentesco: rozzo, incolto, violento e alla guida di una ciurma di esagitati. Tuttavia, con i quasi colleghi condivide una vita passata sulla propria nave lungo i sette mari, l'avversione per la terraferma e chi la popola, una scelta di isolamento dovuta a torti subiti. Scrive lo stesso Jules Verne del suo personaggio: “Bisogna che questo sconosciuto non abbia più alcun rapporto con l'umanità da cui si è diviso. Non è più sulla terra, fa a meno della terra. Gli basta il mare, ma bisogna che il mare gli fornisca tutto, abiti e cibo. Non mette mai piede sul continente.”
In realtà, nel romanzo Ventimila leghe sotto i mari, ben poco viene svelato sul passato di Nemo e sui motivi che lo hanno spinto a vivere per sempre sul Nautilus, avveniristico sommergibile che nel mondo reale richiederà ancora molti anni prima di poter essere, almeno in parte, realizzato. È solo in un altro romanzo, L'isola misteriosa (L'île mystérieuse) del 1874, che Verne svela dettagli sul misterioso personaggio. Il capitano Nemo è il principe indiano Dakkar, figlio d'un ragià del Bundelkund e nipote dell'eroe dell'India, Tippo Saib. Sua colpa è quella di essersi ribellato al dominio inglese, conducendo contro gli occupanti del suo Paese una lunga guerra da cui esce sconfitto. E a pagare per quella ribellione sono stati i suoi amati, la moglie e i figli in primis. Per questo rinuncia alla civiltà per rifugiarsi sul suo sottomarino, costruito grazie a una intelligenza sopraffina ma anche a decenni di studi nelle università europee. Ma le perdite subite hanno creato in lui un odio sconfinato nei confronti degli inglesi, le cui navi è pronto ad affondare. Un pirata per vendetta, quindi. Nella versione originale, tuttavia, il personaggio avrebbe dovuto avere diverse origini. Verne lo aveva pensato come un polacco, fortemente intenzionato a vendicarsi dei russi che occupavano la sua patria, con una moglie morta sotto tortura e dei figli periti in Siberia. Ma su quella ipotesi il suo editore Jules Hetzel pose il veto (cosa non inusuale nel complesso rapporto di amicizia e conflittualità che legava i due), sostenendo che la Russia era amica della Francia e, soprattutto, che c'erano molti russi tra gli abbonati della rivista Magasin su cui doveva apparire il romanzo. Aggiungendo, inoltre, che in una storia per ragazzi tali eccessi vendicativi non erano indicati. Infuriato, Verne rispose: “se non posso spiegare il suo odio, manterrò il silenzio sulla causa dell'odio e su tutta la vita del personaggio, la nazionalità eccetera.” Così il nome Nemo, in latino “nessuno”, assume una doppia valenza: sottolinea la libertà del personaggio e soddisfa la volontà di Verne di non rivelarne alcunché, almeno fino alla stesura di L'isola misteriosa, ove ogni dubbio sarà sciolto. E visto che si è toccato il tema delle modifiche apportate da Hetzel, vale la pena di ricordare che quest'ultimo cambiò anche le parole pronunciate in punto di morte da Nemo. Nella versione giunta ai lettori di tutto il mondo, l'ormai vecchio capitano parla di Dio e di patria, ma nelle intenzioni di Verne avrebbe dovuto parlare di indipendenza, un tema ben più “sovverviso” per l'epoca e degno di ogni pirata che si rispetti.
Come è spesso accaduto ai romanzi di Jules Verne, al successo di Ventimila leghe sotto i mari contribuiscono non poco le illustrazioni che accompagnano il testo, una delle caratteristiche delle lussuose edizioni di Hetzel. A sostegno della sua tesi che le opere di Verne si mantengono più vive nel tempo di quelle del “rivale” Emilio Salgari, ecco che cosa scrive Umberto Eco (nella rubrica “La bustina di Minerva” su L'Espresso del 14 aprile 2005): “(…) un terzo elemento di attrazione (e il merito va in egual misura ad autore ed editore) sono le incisioni che accompagnano i romanzi. Noi devoti salgariani ricorderemo sempre con commozione le meravigliose tavole di Della Valle, Gamba o Amato, ma si trattava pur sempre di pittura, come a dire Hayez o (mi voglio rovinare) Raffaello in bianco e nero. Le incisioni verniane sono ben più misteriose e intriganti – e viene voglia di esaminarle con la lente d'ingrandimento. Il capitano Nemo che dal grande oblò del Nautilus vede il polipo gigantesco, la nave aerea di Robur irta di pennoni tecnologici, il pallone che precipita sull'isola misteriosa, l'enorme proiettile che punta verso la luna, le grotte del centro della terra sono immagini che emergono sempre da un fondo scuro, delineate per sottili tratti neri, alternati a ferite biancastre, un universo privo di zone cromatiche campite in modo omogeneo, una visione fatta di graffi, striature, riflessi abbacinanti per assenza di traccia, un mondo visto da un animale con una retina tutta sua, forse così lo vedono i buoi e i cani, o le lucertole, un mondo spiato di notte attraverso una veneziana dalla strisce sottilissime, un territorio sempre un poco notturno e quasi subacqueo, anche in pieno cielo, fatto di bulinature e abrasioni che generano luce solo là dove lo strumento dell'incisore ha scavato o lasciato in rilievo la superficie.”
Si ispira proprio alle tecniche incisorie uno dei più bei adattamenti a fumetti di Ventimila leghe sotto i mari. Realizzato nel 1992 da un Gary Gianni particolarmente ispirato per la casa editrice Dark Horse, e ahimé inedito in Italia, 20.000 Leagues Under the Sea è un albo in quarantaquattro pagine che ripercorre tutto il romanzo. Rigorosamente in bianco e nero, proprio per riproporre il sottile fascino delle stampe ottocentesche, è totalmente fondato sul sapiente uso del tratto e sulla quasi totale assenza di campiture nere. Appare evidente che Gianni ha studiato le immagini realizzate dai colleghi illustratori di oltre un secolo prima, e ne ha riproposto le fitte linee con cui creare tonalità di grigio ma anche dare forma, tridimensionalità alle figure. Ma Gianni ha fatto anche di più, ha inserito nel suo fumetto tutto il gusto ottocentesco e tipicamente verniano per la tecnologia, e ha saputo caratterizzare i personaggi con quel pizzico di ironia che contraddistingue le creature di Verne, con i baffetti impomatati o le barbe ispide, gli atteggiamenti aristocratici, le pose teatrali. Se i comic-book fossero nati in Francia a metà del 1800, certo sarebbero stati disegnati in questo modo. Tavole e vignette, poi, indugiano più che volentieri sia su armi e vascelli, disegnati con la perizia di un ingegnere d'altri tempi, che su flora e fauna, curate con l'amore di un professore universitario. Verne, certamente, ne sarebbe stato soddisfatto.
Ventimila leghe sotto i mari vanta anche un adattamento tutto italiano, frutto della collaborazione tra Roudolph (pseudonimo di Raul Traverso) ai testi e Renato Polese ai disegni, messa in atto sulle pagine del settimanale Il Giornalino. Roudolph si dimostra rispettoso dei testi di Verne, mentre Polese punta su uno stile di disegno abbastanza semplice e popolare. Innanzitutto, visto anche il pubblico di giovanissimi a cui il fumetto è rivolto, viene rispolverato il colore, mentre le matite puntano a un realismo senza troppe pretese. È soprattutto nella rappresentazione della tecnologia che si riscontrano le maggiori carenze, dato che il Nautilus e i suoi equipaggiamenti non hanno né il fascino retrò della tecnologia ottocentesca, né quello avveniristico della moderna fantascienza. Il desiderio di “modernizzare” l'opera emerge dal pacchiano costume indossato da Nemo (con tanto di “N” rossa sul petto), che sembra adatto più a un alieno di un B-movie di fantascienza che non al personaggio prediletto di Verne. Nel complesso l'opera non è affatto spiacevole, tuttavia non si può fare a meno di notare che non solo nulla aggiunge al romanzo, ma neanche riesce a riportarne sotto forma di tavole l'immortale fascino. Il capitano Nemo, insomma, riporta una parziale sconfitta, ma è pronto a rifarsi nell'adattamento di L'isola misteriosa, apparso sempre su Il Giornalino tra il 1970 e il 1971, ma questa volta affidato a Claudio Nizzi (testi) e Franco Caprioli (dsiegni), che col proprio particolare tratto “puntinato” gli restituisce la sua aura carismatica.


lunedì 13 agosto 2012

RICORDANDO JOE KUBERT

Esistono autori che, pur non essendo noti al grande pubblico, rappresentano per gli appassionati di fumetti delle vere e proprie icone, dei modelli da ammirare per i lettori e da imitare per i colleghi. Fra questi artisti di valore eccezionale va certamente annoverato Joe Kubert. Nato il 18 settembre 1926 a Brooklyn, un quartiere di New York, ha cominciato a bazzicare il mondo dei fumetti da giovanissimo: a soli undici anni di età faceva già l'apprendista, mentre il suo primo lavoro fu pubblicato nel 1939, quando aveva tredici anni. Da allora ha prodotto un numero sterminato di tavole, legate ai generi più disparati. Abilissimo nel disegnare fumetti bellici, su testi altrui ha portato sulla carta le avventure e i drammi di svariati soldati delle due Guerre Mondiali in serie della DC Comics come Enemy Ace, Sgt. Rock, Il soldato Fantasma, Il carro stregato. Nel 1952, pioniere nel campo, si è dedicato alla realizzazione di fumetti in 3-D. Poco dopo ha creato il personaggio di Tor, un cavernicolo che si muove in un mondo preistorico pieno di insidie e dalle sfumature fantastiche. L'abilità mostrata nel disegnare ambienti selvaggi e uomini in perizoma gli è servita al momento di affrontare le matite di Tarzan e di Korak, serie affidategli negli anni Settanta dalla DC Comics. Nel corso della sua prolifica carriera ha avuto modo di disegnare anche molti supereroi, tra cui Hawkman, Superman, Batman, The Punisher. Su propri testi a fine anni Ottanta crea la serie Abraham Stone, incentrata sulle avventure di un ragazzo nell'america di fine Ottocento. Negli anni Novanta è la volta di Fax from Sarajevo, graphic novel basata su fatti veri legati al dramma vissuto in quel periodo dalla ex-Jugoslavia. Kubert è famoso anche come insegnante, avendo fondato nel 1976 una scuola di fumetto, la prestigiosa Joe Kubert School of Cartoon and Graphic Art con sede a Dover (New York). Joe se ne è andato ieri, 12 agosto 2012 e già ci manca.  

venerdì 3 agosto 2012

LA SPIA VENUTA DAL PASSATO



 Ho recentemente recuperato dalla mia affollata libreria un albo firmato da due autori di Mister No, Andrea Mantelli e Roberto Diso. Nel 1977, data di uscita di “Il mestiere di Spia”, i due sono infatti al lavoro anche sul bastian contrario amazzonico da cui si concedono una pausa per un one shot ricco di azione. Al centro della vicenda vi è Ted Mulligan, uno stuntman per certi versi caratterialmente simile a Jerry Drake. È infatti un uomo d’azione che spesso agisce d’impulso, capace di cacciarsi in situazioni complicate ma anche di uscirne usando la testa oltre che i muscoli, poco incline a piegarsi alla routine e alle gerarchie. Tra un film e l’altro, nei quali si sobbarca il lavoro più pericoloso lasciando alla stella di turno la luce dei riflettori, Ted sgomina una banda di rapinatori in cui si imbatte per caso. Finito sui quotidiani, viene notato dalle alte sfere del controspionaggio Usa, colpite dalle sue doti atletiche e dalla sua prontezza di spirito, che gli propongono di diventare un loro agente. Allettato dall’avventura vera a scapito di quella cinematografica, e da un ricco stipendio, Ted accetta la proposta e viene subito gettato nella mischia in un susseguirsi di colpi di scena che rendono la lettura molto veloce. Da segnalare anche le belle tavole di Diso, ricche di azione e in taluni casi dalla composizione maggiormente libera rispetto agli standard bonelliani, grazie a vignette orizzontali e a figure che spezzano la gabbia. Nonostante i trentacinque anni sulle spalle, Il mestiere di spia rimane un albo moderno e divertente, che meriterebbe una ristampa.


LA SCHEDA
Titolo: Il mestiere di spia (albo numero 125 della Collana Rodeo)
Autori: Andrea Mantelli e Roberto Diso
Editore: Editoriale Cepim
Numero pagine: 96
Prezzo: 400 lire