giovedì 27 novembre 2014

IN LIBRERIA!


Da oggi in tutte le librerie. Diffondete (se volete), comprate (per sfamare i miei felini), leggete (per diletto), regalate (per diletto altrui). Miaoooo!!!

martedì 25 novembre 2014

CASPISTERINA, CHE PROFESSORE!


All’interno della fantascienza spiccano alcune figure di personaggi icona che quasi si meriterebbero, per numero e importanza, di fare parte di un sottogenere. Tra questi vi è la curiosa categoria dello scienziato pazzo, o mad doctor secondo la definizione anglofona. Tale individuo dall’intelligenza estremamente sviluppata si presenta con grande frequenza nei vari media, dal libro al cinema passando per la televisione e i fumetti. Dotato di un ego smisurato, incapace di discernere tra bene e male oppure indifferente alla scelta, fortemente motivato, bramoso di potere, ideatore di invenzioni incredibili, ossessionato dai propri obiettivi, lo scienziato pazzo domina il palcoscenico con la sua gestualità esasperata, le sue teorie incomprensibili, la sua pelata luccicante o i suoi capelli bianchi e ribelli. Difficile individuarne il prototipo, ma forse il primo scienziato pazzo della fantascienza moderna potrebbe essere Rotwang, di Metropolis. La sua storia nasce nel 1912, grazie al romanzo di Thea Von Harbou, ma prende definitivamente forma nel 1926, quando il regista Fritz Lang basandosi sul libro della moglie (che per l'occasione scrive la sceneggiatura del film) firma l’omonima pellicola in bianco e nero. 
Ma non sempre lo scienziato è pazzo, talvolta solo “pazzerello”, stravagante. In tal caso non è malvagio, ma solamente un eccentrico, troppo preso dai propri esperimenti per rendersi conto di ciò che accade intorno a lui, e troppo intelligente per essere compreso dai comuni mortali. Esemplare, in questo senso, la figura di Doc Emmett Brown della trilogia cinematografica Ritorno al futuro. Anche il fumetto è ricco di tale tipo di scienziati, giusto per citarne due ricordiamo il pasticcione Sappo, “figlio” di Elzie Crisler Segar, più noto al grande pubblico per il mangiaspinaci Braccio di Ferro. Ma anche il divertente Professor Phumble, smemorato inventore frutto della fantasia di Bill Yates (ottimo autore, purtroppo quasi dimenticato). 
Poteva il fumetto italiano evitare di confrontarsi su tale terreno? Ovviamente no. A raccogliere il guanto della sfida è stato Lorenzo De Felici, colorista, disegnatore e autore completo che da qualche tempo si cimenta anche nella realizzazione della striscia (in realtà un’unica vignetta orizzontale) Le geniali invenzioni del professor Caspita!. De Felici compie un’operazione azzardata: “elimina” lo scienziato (o professore che dir si voglia), che non appare mai, puntando tutto sulle sue invenzioni. Non solo, si basa su un umorismo infarcito di senso dell’assurdo, che privilegia i giochi di parole, che ama spiazzare, stravolgere l’ovvio o al contrario potenziarlo a tal punto da trasformarlo in stravagante illogicità. Gag istantanee, fulminanti, che talvolta sfiorano la sciocchezza, ma che strappano sempre un sorriso, talvolta anche una risata. Le invenzioni del Professor Caspita sono più concettuali che pratiche, la loro utilità del tutto discutibile, lo scopo finale incomprensibile, ma è proprio questa la loro forza, la loro originalità, si spingono dove nessun essere umano (professori e scienziati inclusi) è mai giunto prima. Già questo, di per sé, e un entusiasmante traguardo. 
In appendice al volume, una breve galleria di strisce dedicata ai collaboratori di Caspita (ma del Professore ancora non vi è traccia), dalle quali si comprende come mai le invenzioni siano tanto stravaganti. Ma le pagine più divertenti sono probabilmente quelle dedicate al test finale, il cui scopo è stabilire se si è idonei a entrare a far parte dello staff. Se lo passate, cominciate a preoccuparvi… 
Sul fronte grafico, De Felici punta su un tratto essenziale, morbido e pulitissimo, arricchito solo da un colore piatto (differente di gag in gag), con cui potenziare dettagli o creare semplici ma efficacissimi sfondi. Dopotutto, l’attenzione deve concentrarsi sulle invenzioni, non certo su virtuosismi grafici che pure sarebbero nelle corde dell’autore. Se amate la scienza Le geniali invenzioni del Professor Caspita! vi piacerà, se non capite nulla di scienza vi piacerà ancora di più. 







LA SCHEDA
Lorenzo De Felici 
Le geniali invenzioni del professor Caspita! 
Lit Edizioni 
pp. 96 
euro 12,90

martedì 21 ottobre 2014

L'AFRICA DI HERMANN


Anche il belga Hermann (nome completo Hermann Huppen), nel corso della sua lunga e prolifica carriera di fumettista, si è cimentato con il continente africano. Come è consuetudine nelle sue storie, il volume unico Afrika mescola elementi tipici del fumetto avventuroso con tematiche sociali e personaggi sfaccettati. La visita di una giornalista a un’importante riserva naturale conduce all’incontro col burbero Dario Ferrer, impegnato nel difendere la fauna dai cacciatori di frodo, ma porta alla luce anche intrighi politici e massacri di popolazioni innocenti. Dietro l’Africa affascinante e incontaminata, se ne cela una molto meno romantica, nella quale residui di colonialismo lasciano il passo a nuove dittature e sfruttamenti. L’Africa sembra non riuscire a debellare la violenza e gli spargimenti di sangue che la flagellano da secoli, trasformandola spesso da potenziale paradiso terrestre in inferno sulla Terra. Gli splendidi disegni di Hermann danno il meglio nella rappresentazione di flora e fauna. Gli incantevoli ritratti di animali, pur non celando il lato selvaggio (e quindi violento), meravigliano e ipnotizzano il lettore, affascinandolo quanto e più di un documentario di National Geographic. Nella mani di questo veterano delle nuvolette, il fumetto è veramente narrativa per immagini, in grado di comunicare anche senza parole, semplicemente con la forza del disegno. 


LA SCHEDA
Titolo: Afrika
Autore: Herman
Editore: Planeta Deagostini
Numero pagine: 54
Anno: 2011

mercoledì 24 settembre 2014

AVVENTURE AFRICANE


Come spesso accade con i libri per ragazzi, anche Yakouba può tranquillamente essere apprezzato da un pubblico adulto per la bellezza della storia, l’originalità delle illustrazioni, la cura della cartotecnica. La vicenda è molto semplice, in Africa il giovane Yakouba deve affrontare il rito di iniziazione per diventare un guerriero: uccidere un leone. L’impresa si dimostrerà più ardua del previsto, ma non a causa della combattività dell’animale, bensì per l’esatto contrario. L’animale è infatti già ferito e dargli il colpo di grazia sarebbe fin troppo facile. L’aspirante guerriero si trova quindi di fronte a un dilemma morale: uccidere l’animale e conquistarsi un onore che non merita, oppure lasciarlo vivere e tornare al villaggio portando sulle spalle l’onta del fallimento. La scelta condizionerà per sempre la vita di Yakouba… Poche parole, asciutte e studiate, per narrare e grandi immagini (a tutta pagina o doppia pagina) per accompagnarle. Illustrazioni in un bianco e nero sporco e suggestivo, che ricorda la polvere della savana, il calore del sole accecante, il luccicare della pelle color ebano. Pennellate spesse e decise, neri che sfumano in grigi, forme grandi e prive di spigoli, smussate forse dal calore, dal sole e dal vento, da quel mondo che devono rappresentare e che è molto familiare a Yakouba. Una storia che scorre veloce ma che trasmette molte emozioni e che l’autore, il francese Thierry Dedieu, riprenderà dando vita a un secondo volume. 


LA SCHEDA
Titolo: Yakouba
Autore: Thierry Dedieu
Editore: L’Ippocampo
Numero pagine: 36
Prezzo: 9,90 euro

domenica 14 settembre 2014

BLUEBERRY


È in edicola già da qualche settimana una collezione (in allegato a Gazzetta dello Sport) dedicata a Blueberry. Oltre a consigliarla caldamente, visto l'ottimo rapporto qualità prezzo, ecco una scheda del personaggio.

BLUEBERRY 
Blueberry, 1963, Francia, Western 
Jean-Michel Charlier (s) e Jean Giraud (d) 

Indisciplinato, attaccabrighe, bevitore, giocatore d’azzardo, il tenente Blueberry non è ben visto dai propri superiori, che gli concedono solamente di scegliere tra la corte marziale e l'assegnazione presso uno sperduto avamposto di frontiera: Fort Navajo. Scelto quello che solo apparentemente è il male minore, Blueberry si ritrova nel classico forte di legno della frontiera americana, immediatamente coinvolto in una guerra indiana. Così come nel passato è stato scacciato dalla propria facoltosa famiglia georgiana a causa delle sue idee antischiaviste, ora si procura nuovi guai mostrando simpatie per gli indiani, che considera oggetto di torti da parte dei bianchi. Tutta la lunga saga di Blueberry, pur nel solco della classica avventura western, è infatti ricca di tensioni sociali, elementi storici, personaggi sfaccettati. Il disegno cresce velocemente, diventando ricco e suggestivo, fornendo tramite paesaggi assolati e sterminate praterie, una rappresentazione selvaggia e affascinante della frontiera americana, fatta di polvere, violenza e sudore, ma anche determinazione, speranza e avventura. Comprimari ricorrenti sono Jimmy McClure, stereotipo del vecchietto del West, e Red Neck, guida dell’esercito. Inizialmente il volto di Blueberry si rifà a quello dell’attore Jean-Paul Belmondo, ma con l'aumentare dei volumi tale somiglianza si attenua fortemente, fino a sparire quasi del tutto. Alla morte dello sceneggiatore Jean-Michel Charlier è il disegnatore Jean Giraud a prendere le redini della serie, puntando sempre più sul lato intimista della serie. La prima storia di Blueberry, dal titolo “Fort Navajo” è apparsa in Francia sul mensile Pilot. In Italia la serie è stata pubblicata per la prima volta a metà anni sessanta sui Classici Audacia della Mondadori, per poi passare per le mani di diversi editori che hanno optato per svariati formati, anche se il più diffuso resta il cartonato alla francese. 

In Francia la popolarità di Blueberry è tale che la casa editrice Dargaud ha dato il via a due serie parallele. Partita nel 1975, La giovinezza di Blueberry ospita storie dedicate al passato del personaggio e affidate ai seguenti team creativi: Charlier e Giraud, Charlier e Colin Wilson, Francois Corteggiani e Colin Wilson, Francois Corteggiani e Michel Blanc-Dumont. Tra le varie missioni che il giovane protagonista deve affrontare vi è anche quella di sventare un complotto ai danni del presidente Lincoln. 
Nel 1991 tocca a un'altra serie retrospettiva, Marshall Blueberry, ambientata nel periodo in cui Blueberry, lasciato l'esercito, svolge la professione di Marshal. Questa volta gli autori sono Giraud e William Vance, ma anche Giraud e Michel Rouge. In questa sequenza di storie compare ancora l'amico di Blueberry Red Neck e fa il suo ingresso la bella Tess Bonaventura. La maggior parte di questi volumi è edita in Italia da Alessandro Editore. 

Per le immagini ©Dargaud












mercoledì 30 luglio 2014

IL CIMITERO DEGLI ELEFANTI


Questo vecchio albo contiene due avventure di Freddy Lombard, personaggio creato dal compianto (e purtroppo poco noto in Italia) Yves Chaland. Seguace e innovatore della ligne claire franco-belga, Chaland realizza delle tavole dall'ottimo impatto visivo, pulitissime, ben impostate, con vignette ricche di particolari e ben colorate. Dai colori non fini a se stessi ma al servizio delle atmosfere che devono dipingere. In una tavola con una splendida sequenza muta rappresentante un tentativo di omicidio, sfociato in un incendio devastatore, dominano il nero ed il rosso; le vignette ambientate nella giungla africana sono zeppe sì di colori, ma sempre legati alle tonalità di verde e marrone. Indimenticabili, anche gli edifici parigini che Chaland dissemina nelle tavole di ambientazione cittadina. “La lastra contesa” e “Il cimitero degli elefanti”, le due storie contenute nell’albo, sono avventure con sfumature gialle a cui l'autore riesce ad imprimere un ritmo movimentato sin dalle prime vignette. Poco importa se l'obiettivo del frenetico Freddy Lombard e dei suoi amici Dina e Sweep consiste nel ritrovare una lastra fotografica in Africa o nello scoprire il colpevole di un omicidio, a farla da padroni sono sempre la narrazione scorrevole e le disavventure dei tre simpatici amici che, nonostante la felice conclusione dei casi, rimangono sempre senza un franco e con il problema del pranzo. In entrambe fa capolino il continente africano e nella seconda gli elefanti rivestono un ruolo importante, legato a un segreto che verrà svelato solo nel colpo di scena finale. Godibili ed esotiche.

LA SCHEDA
Titolo: Il cimitero degli elefanti
Autori: Yves Chaland
Editore: Telemaco
Numero pagine: 48
Prezzo: 18.000 lire

domenica 6 luglio 2014

TORNA IL BATMAN DI KUWATA



La popolarità di Batman esplode in Giappone nella seconda metà degli anni Sessanta, in occasione della messa in onda del telefilm con Adam West (nei panni del protagonista) e di Burt Ward (il fedele Robin). Datato 1966, questo live action ipercinetico e vivacemente pop arriva in Giappone nello stesso anno ed è immediatamente un successo. La casa editrice Shonen Gaosha chiede quindi al celebre Jiro Kuwata di creare episodi inediti dell’uomo pipistrello. Classe 1934, Kuwata all’epoca ha già qualche esperienza con personaggi dalle doti eccezionali. È infatti il creatore grafico di Eightman (1964), manga che ha quale protagonista Hachiro Azuma, un detective assassinato la cui memoria viene trasferita all’interno di un androide: con questo nuovo corpo il personaggio continua a combattere il crimine. Anche se oggi le tavole di Eightman possono apparire infantili, per il tempo risultano più realistiche di quelli dei colleghi, una scelta che Kuwata porta avanti col “suo” Batman, considerando le poche storie di Bob Kane passategli dalla casa editrice un po’ troppo fantasiose. Il mangaka opta per delle storie abbastanza lineari, ove Batman e Robin affrontano, e regolarmente sconfiggono, il cattivo di turno (Joker, Clayface, Professor Gorilla, Lord Death Man, ecc.). I buoni sono buoni, i cattivi sono cattivissimi, un’impostazione manicheistica tipica delle avventure del Batman del tempo. Sul fronte grafico, il disegno è semplice e pulito, fin troppo nel delineare sfondi al limite dell’essenziale, efficacissimo però nelle scene d’azione, con continui cambi d’inquadratura e caratteristico uso delle linee cinetiche. I due protagonisti vantano un fisico longilineo, anche se nei primi episodi quando Bruce Wayne diviene Batman i suoi muscoli paiono quasi “gonfiarsi”, conferendogli un aspetto maggiormente corpulento, possente, eroico. Probabilmente, nel rappresentare il personaggio in costume Kuwata dipende ancora dal modello di Bob Kane e dalle sue forme tondeggianti, da cui ben presto si distacca. La tavola è ricca di vignette, dalla forma regolare e spesso impostate su quattro strisce, cosa che può sembrare strana ai giorni nostri, quando i manga per ragazzi prediligono poche vignette irregolari, ma affatto inusuale negli anni Sessanta. Il risultato complessivo è un prodotto per ragazzi scorrevole e godibile, tutto centrato sull’avventura e sull’azione. La serie viene serializzata per un paio di anni, ma mai raccolta in volumi. Ora la DC Comics ne ha annunciata un'edizione in inglese (la prima), che verrà diffusa prima in forma digitale poi in tre volumi che raccoglieranno complessivamente oltre 1.000 tavole.




martedì 10 giugno 2014

RITORNA RIC ROLAND!


Riceviamo e (molto volentieri) pubblichiamo.

Dopo il grande successo di Michel Vaillant e Lucky Luke, Gazzetta presenta (dall'11 giugno) le storie di Ric Roland, un avvincente fumetto francese poliziesco in un’edizione esclusiva. 
Ric Roland (nella versione originale francese Ric Hochet), un giornalista alle prese con avvincenti indagini poliziesche in aiuto all’amico commissario Boudon e a sua nipote Nadine. 
Il fumetto, creato in Francia nel ’55, è stato pubblicato in Italia negli anni 60 all’interno dei Classici Audacia e degli Albi Ardimento ma oggi grazie a Gazzetta ritorna in edicola a distanza di 30 anni. Ric Roland è uno degli albi gialli più solidi, appassionanti e meglio narrati della storia del fumetto. Ogni albo conterrà una storia e alcune pagine di approfondimento inedite in italia. 
La prima uscita, in edicola l’11 Giugno al costo di 1€ + il prezzo del quotidiano, è “Requiem per una star” in una versione esclusiva comprendente 44 tavole pubblicate per la prima volta nell’edizione belga del settimanale Tintin dal n° 16 (18 aprile 1972) al n° 34 (22 agosto 1972). 
Nella collana sono inclusi inoltre tre grandi sceneggiature di André-Paul Duchateau: “Gli spettri della notte” (n.12 originale, 1971) in cui l’atmosfera fantastico-horror ne pervade le pagine; “Requiem per un idolo” (n.16, 1973) è una storia ricca di colpi di scena. “L’uomo senza passato” (n.17, 1973) coinvolgente nel suo drammatico incipit e per lo svolgimento davvero inusuale, con il protagonista che si ritrova sperduto in un contesto particolare dalle mille emozioni.







sabato 7 giugno 2014

AUGURI, PAPERINO!


Tra un paio di giorni compirà ottant'anni il papero più famoso del mondo. L’esuberante pennuto fa infatti la sua prima apparizione il 9 giugno del 1934, nel cortometraggio disneyano in animazione dal titolo The Wise Little Hen (“La gallinella saggia”). Si tratta di una Silly Symphony, un cortometraggio basato sulla musica, in cui riveste un ruolo marginale in un contesto ricco di characters. Tre mesi dopo, il 16 settembre 1934, approda ai fumetti, grazie alla storia The Little Red Hen (“La gallinella rossa”), libero adattamento di quel primo cartone animato. Se sullo schermo il suo aspetto viene determinato dagli animatori Art Babbit, Dick Huemer e Fred Spencer, sulla carta il primo a occuparsene è Al Taliaferro. Attenzione, però, perché quel Donald Duck, poi battezzato Paolino Paperino in Italia, è abbastanza differente da come lo conosciamo oggi. Indossa già la sua divisa da marinaio, ma il becco è stretto e lungo, il collo esagerato, le zampe meno aggraziate. Ma il carattere pestifero e la propensione a combinare guai già si intravedono.
È nata una nuova stella, inizialmente usata come spalla per apparire in cortometraggi altrui, in particolare di Topolino, poi destinata a debuttare in cartoni animati propri. Dopo una lunga serie di cortometraggi, nel 1943 arriva finalmente il lungometraggio Saludos Amigos, in cui Paperino condivide il ruolo di protagonista col pappagallo brasiliano José Carioca. Il suo carattere focoso è ormai delineato e piace talmente tanto al pubblico americano che, in quello stesso 1943, Walt Disney e il Ministero del Tesoro lo utilizzano nello spot dal titolo The New Spirit (“Il nuovo spirito”) per incoraggiare gli americani a pagare le tasse.
Ben presto diviene anche un richiestissimo testimonial per la pubblicità, tanto che nel 1952 figura sulle etichette di ben 85 prodotti.
Tornando agli amati fumetti, nel 1942 comincia a realizzarne le storie Carl Barks, che ne fornisce la caratterizzazione definitiva.
A partire dagli anni Cinquanta le sue avventure vengono scritte e disegnate anche da autori italiani, artisti del calibro di Guido Martina, Luciano Bottaro, Giovan Battista Carpi, Romano Scarpa, Giorgio Cavazzano e molti altri.
Mettendo insieme tutte le storie di cui è stato progaonista, in celluloide e sulla carta stampata, risulta che Paperino ha fatto un po’ di tutto, dallo strillone al venditore di frullini, dal pompiere allo sceriffo, dal venditore ambulante di farina all'assicuratore, dal fabbro al mastro vetraio, all'astronauta allo scrittore, e persino l'estetista. La sua grande vocazione, però, resta quella di disoccupato in bolletta, grande frequentatore di letti, divani, poltrone e amache in cui schiacciare lunghi pisolini. Ma ha avuto anche molti hobby: numismatica, scultura, floricultura, recitazione, ecc. Comunque sia, in ogni attività praticata, per professione o per divertimento, così come in ogni altro aspetto della sua vita, Paperino deve sempre fare i conti con “un’ospite sgradita”: la sfortuna.
Chiamatela jella, cattiva sorte, sfavorevole coincidenza di eventi, ma questa ingombrante presenza segue sempre il papero e ha probabilmente contribuito a forgiarne il carettere scontroso, collerico, ipereccitabile. Ma in fondo lo ha reso anche simpatico, certamente più del cugino Gastone, costantemente baciato dalla fortuna, che risulta antipatico proprio a causa della facilità con cui ottiene tutto. E visto che si parla di familiari bisogna ricordare i nipotini Qui, Quo e Qua, che vivono con Paperino e sono delle esemplari Giovani Marmotte (ma nei primi cartoons erano dispettosi e un pizzico antipatici). Non si puo’ evitare di menzionare la bella e un poco frivola Paperina, teoricamente sua fidanzata ma sempre pronta a farlo ingelosire con l’odiato Gastone. Poi c’è Zio Paperone, tanto ricco quanto taccagno, che ricatta costantemente il nipote minacciando di sfrattarlo o diseredarlo, per costringerlo a seguirlo in capo al mondo alla ricerca di qualche tesoro leggendario o, più semplicemente, a pulire una a una le monete del suo enorme deposito.
Insomma, la vita non è certo facile per questo papero, che chiede solo di poter dormire in pace e che invece si trova continuamente trascinato dispute di cortile, col vicino piuttosto che con gli scoiattoli Cip & Ciop, o in imprese al di sopra delle sue possibilità.
Ma Paperino ha anche un volto nascosto, un’identità segreta, e questa volta a crearla sono stati solo artisti italiani. Quando la sua città, Paperopoli, dorme, indossa una maschera e un mantello e si trasforma in Paperinik.
Col fumetto dal titolo Paperinik il diabolico vendicatore, del 1966, Guido Martina alla macchina da scrivere e Giovan Battista Carpi alle matite danno vita a una lunga serie di storie in cui vengono riversate tutte le caratteristiche che hanno fatto la grandezza della famiglia dei paperi: la pigrizia di Paperino, l'avarizia di Paperone, la fortuna di Gastone, la civetteria di Paperina, l'intraprendenza di Qui, Quo, Qua, con l'aggiunta di un nuovo ingrediente, il mistery, dato dalla doppia identità di Paperino che di notte si trasforma nel suo tenebroso e, una volta tanto efficiente, alter ego Paperinik. Una lezione appresa dal fumetto supereroico statunitense, quella della doppia identità, e ben applicata in ambito disneyano. I marchingegni diabolici di Paperinik funzionano benissimo, meglio di quelli di James Bond, e durante il giorno Paperino non ha certo bisogno di inforcare gli occhiali o di fingersi stupido per non far sospettare di sé.
In ogni caso, auguroni!

domenica 18 maggio 2014

UNA COVER WESTERN


Per puro diletto personale, sono andato a cercarmi l'immagine originale utilizzata per la cover del libro "Lo svelto e il Morto" (di Louis L'Amour per Meridiano Zero). Si tratta di un'illustrazione per riviste pulp di Walter M. Baumhofer (1904-1987), prolifico autore di immagini. Da segnalare, anche, che Baumhofer ha utilizzato spesso il binomio pistolero/fanciulla, come testimonia un'altra immagine che posto. Godetevi il tutto.



sabato 29 marzo 2014

LE RAGAZZE DI MUNARI


Si apre con i pensieri di Fabio, il protagonista, il graphic novel “Le ragazze dello studio Munari”, e prosegue con quegli stessi pensieri lungo tutta la narrazione, unico registro narrativo adottato dall’autore. Fulcro di tutto è insomma il già citato Fabio, libraio e collezionista di volumi antichi, oltre che grande appassionato di Bruno Munari. Fabio è in crisi, o quantomeno è costretto a una seria riflessione su se stesso e sul proprio piccolo mondo, che pare ruotare attorno al suo “io” e alla sua libreria, sul retro della quale si accede al suo piccolo appartamento. In quel luogo, insomma, è concentrata tutta la sua vita: il lavoro, il riposo, le passioni. È in quello stesso microcosmo che accoglie le sue ragazze. Già, ragazze, al plurale, perché porta avanti una complessa vita sentimentale con tre “fidanzate” contemporaneamente. O almeno la portava avanti, dato che la narrazione parte proprio nel momento in cui, ormai scoperto, Fabio le ha perse tutte, sperimentando una totale solitudine a cui è poco avvezzo. Attenzione, però, Fabio non è il viscido tombeur de femmes che si potrebbe immaginare. Certamente è un corteggiatore metodico, che ha persino sviluppato una propria filosofia e una personale tecnica all’approccio, ma per le tre fanciulle – Fedra, Chiara e Sonia – nutre un affetto sincero seppur non esclusivo. Il sesso, tra l’altro raccontato e mostrato con grande delicatezza, è per lui importante, ma non fondamentale. Sono i piccoli momenti quotidiani, le emozioni condivise, i dettagli del viso delle amate a lasciare in lui, e nei lettori immersi nei suoi pensieri, i segni emozionali più profondi e, di conseguenza, a mancargli maggiormente. Fabio appare più che altro come un bambino incapace di scegliere, sentimentalmente immaturo, che si rende conto dell’importanza di qualcosa, o qualcuno, solo nel tardivo momento della perdita. La sua storia è quindi una storia di lenta crescita interiore che comincia con una fine, quella delle relazioni, perché solo dopo una fine può esservi un nuovo inizio. Ma questo nuovo inizio richiede un cambiamento, onde evitare di cadere in un loop che lo condanni a un infinito ripetersi dei medesimi errori. 
Fabio ripercorre così mentalmente gli ultimi mesi cercando di mettere in ordine, oltre ai propri pensieri, anche la propria vita. Nel farlo, da persona narrativamente e visivamente colta quale è (proprio come il suo autore), usa anche strumenti sofisticati, come riferimenti cinematografici e letterari, ma soprattutto continui rimandi ai lavori di Bruno Munari. Leitmotiv di tutto il volume, Munari offre spunti di riflessione al personaggio e suggerimenti grafici all’autore. Le sue frasi costellano i pensieri di Fabio, le sue opere le vignette di Baronciani. Artista multiforme e innovativo, Munari ha lasciato dietro di sé una moltitudine di lavori e insegnamenti ancora attualissimi che all’interno di “Le ragazze di Munari” non sono solo semplici citazioni, ma si fondono con la storia e col suo modo di raccontarla. Baronciani, grafico a sua volta, riesce infatti nella difficile impresa di rendere “fisica” la lettura tramite inserti di cartotecnica per cui l’esperienza tattile è resa possibile grazie a del velluto applicato su una pagina, l’idea della nebbia milanese si fa tangibile attraverso tavole stampate su fogli di acetato, l’importanza di un biglietto di addio acquisisce tridimensionalità nelle mani del protagonista con un vero foglietto, piegato e incollato su una pagina altrimenti bidimensionale. Diceva Munari: “chi non muta è destinato a morire o, peggio, a invecchiare.” Questo vale per Fabio, come per tutti noi, ma vale anche per gli oggetti, per gli strumenti creativi, per le opere di narrazione, persino per il fumetto. Baronciani ha quindi applicato tale idea alla sua opera, rendendola un fumetto di nuova generazione nel quale l’esperienza visiva viene accentuata e arricchita, oltre che accompagnata da altre esperienze sensoriali. Non si tratta di “trucchetti” fini a se stessi, ma di inserimenti funzionali alla narrazione, che si fondono perfettamente con essa. 
Sul fronte grafico, Baronciani non è un virtuoso della matita, non lo è mai stato e probabilmente non gli interessa esserlo, ma il suo tratto spesso e pulito, essenziale, risponde a un’esigenza di semplicità e chiarezza che ha ancora una volta radici nell’esperienza di grafico. Le sue tavole ordinate, generalmente a una o due vignette, sono una sottintesa dichiarazione d’amore per il tascabile all’italiana, oltre che per un esempio di perfetta scansione narrativa. L’autore si conferma insomma come uno dei principali talenti nostrani, raffinato nei contenuti, intelligente nella forma, originale nei formati. La critica fumettistica, ammesso che esista, farebbe meglio a prestargli maggiore attenzione, mentre siamo certi che altri mondi (letteratura, grafica) presto si accorgeranno della sua trasversalità. 



ALESSANDRO BARONCIANI
Le ragazze nello studio di Munari
Black Velvet Editrice
pp. 238
euro 19,00

domenica 16 febbraio 2014

TEX & BONELLI


Qualche mese fa, a due anni dalla scomparsa di Sergio Bonelli, la casa editrice che ancora porta il suo nome ha distribuito nelle edicole una pubblicazione “bifronte”, volumetto più DVD, per rievocarne la memoria e i molteplici talenti. Se l’albo rimane pregevole, con la ristampa della storia “L’uomo del Texas” (con testi di Sergio Bonelli e disegni di Aurelio Galleppini) e brevi interventi sull’uomo e la casa editrice, è il DVD il pezzo forte dell’iniziativa. Giancarlo Soldi, regista e appassionato di nuvolette, gira e presenta, sotto forma di istrionico intrattenitore, “Come Tex nessuno mai”, un viaggio avventuroso che si snoda lungo la vita della casa editrice e del suo principale timoniere. Dalle origini, quando ancora si chiamava Audace ed era diretta da Tea madre di Sergio, fino ai giorni nostri, la Bonelli è mostrata attraverso i suoi personaggi e i suoi autori, ma soprattutto per mezzo delle parole di molti di coloro che vi collaborano o, semplicemente, ne leggono i fumetti: disegnatori, sceneggiatori, scrittori, collezionisti, artisti, registi, appassionati. Apripista di un successo lungo più di mezzo secolo è, ovviamente, Tex, personaggio del più ruvido Gianluigi Bonelli, che era solito dire “Tex sono io”. Lo seguono molti altri da Zagor a Dylan Dog, frutto dell’abilità di sceneggiatore e del fiuto di editore di Bonelli figlio. Ampio spazio anche per Mister No, “una serie in Sergio Bonelli poteva finalmente riversare molto più di sé”, spiega Soldi centrando perfettamente le sovrapposizioni tra i due, perché se Bonelli padre era Tex, Bonelli figlio era almeno un po’ Mister No. “Come Tex nessuno mai” è quindi un documentario su Gianluigi Bonelli? Su Sergio Bonelli? Su Tex? Tutto è legato, tutto si interseca. Non esiste fumetto italiano senza i Bonelli, non esiste Sergio Bonelli senza i fumetti. Lettore, prima ancora che autore ed editore, Sergio Bonelli è stato, ed è ancora tramite la sua eredità, il centro di gravità attorno cui ruota la maggior parte dell’immaginario a fumetti nostrano.

LA SCHEDA
Titolo: Come Tex nessuno mai
Autori: AA.VV.
Editore: Sergio Bonelli editore
Numero pagine: 64 + DVD
Prezzo: 9,90 euro

venerdì 17 gennaio 2014

BUON COMPLEANNO, POPEYE


“I yam what I yam an' tha's all I yam!” (“Io sono quello che sono e questo è tutto quello che sono!”), con queste parole Braccio di Ferro si presenta al proprio pubblico 85 anni fa, facendo subito intendere che non è tipo da piegarsi alle convenzioni e per nulla desideroso di apparire differente da ciò che è. Ma chi è Braccio di ferro? La sua prima apparizione avviene come comparsa all'interno della serie Thimble Theatre. Il protagonista Castor Oyl decidere di compiere un viaggio verso l'Africa e deve as soldare un marinaio che conduca la nave. La sua scelta cade proprio su Popeye, un tipo magrolino, dall'occhio guercio e dal linguaggio quantomeno traballante. Ma il personaggio ha troppe potenzialità perché l'autore Elzie Crisler Segar non continui a sfruttarlo, così dopo altre veloci apparizioni Braccio di Ferro diventa il vero protagonista della serie, che ben presto acquisisce come nuovo titolo il suo nome. Esuberante e irascibile, Braccio di Ferro è sempre pronto a mollare sganassoni, per la cui formidabile potenza Segar trova la giustificazione degli spinaci, di cui il personaggio si ciba in continuazione. Nel corso di lunghe avventure, portate sulla carta con un tratto solo apparentemente sgangherato ma in realtà geniale nella sua efficacia, il cast di personaggi si allarga. Entrano quindi in scena il padre Braccio di Legno, il figlioletto adottivo Pisellino, il mangione Poldo e molti altri, ognuno fortemente caratterizzato e destinato a supportare tormentoni ricorrenti.
Verso la metà degli anni Trenta arrivano anche i cartoni animati dei fratelli Fleischer. È in questa occasione che nasce il principale avversario di Braccio di Ferro: Bluto, poi ribattezzato Brutus, un un tipaccio barbuto che cerca di portare via la fidanzata Olivia a Braccio di Ferro, e che finisce sempre per buscarsi un sacco di cazzotti da quest'ultimo.
Alla prematura scomparsa di Segar, avvenuta nel 1938, la striscia di Popeye passa nelle mani di diversi artisti, fino a quando non si comprende che il più idoneo a continuarla è Bud Sagendorf, dal 1931 già assistente dello stesso Segar, che ammorbidisce il tratto e rende le storie più famigliari. In Italia il personaggio arriva nel 1935, pubblicato sulle riviste Cine Comico, Jumbo, Audace, ecc. Nel corso dei decenni sono molti gli editori che danno spazio alle sue storie, mentre tra gli anni Sessanta e Novanta le Edizioni Bianconi sviluppano una fiorente produzione nostrana, affidata ad artisti come Alberico Motta, Pierluigi Sangalli, Sandro Dossi, Tiberio Colantuoni.

sabato 11 gennaio 2014

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