domenica 15 settembre 2019

SI PUÒ ESSERE ROMANTICI A MILANO?


Il fumetto italiano tradizionalmente ha sfruttato ben poco le proprie città, la propria realtà quotidiana, quale ambientazione per le proprie storie. Attratto prevalentemente dalle atmosfere esotiche, dai paesaggi western, ha preferito puntare la propria attenzione su luoghi e scenari altrui, come afflitto da una sorta di soggezione culturale. Certo le eccezioni, le splendide eccezioni, non sono mancate. Come la Valentina di Guido Crepax, che muoveva i suoi passi in una Milano anni Sessanta culturalmente vivace e brillante. Il recente avvento dei graphic novel ha cambiato un po’ le carte in tavola e così la Torre Velasca di Milano può spiccare in molte tavole di “Un romantico a Milano”, assieme ad altri edifici e angoli della capitale lombarda. È il microuniverso di Drogo Colombo, fumettista in crisi creativa e di identità, protagonista del racconto. È l’autore, Sergio Gerani, a specificare subito che al personaggio non corrisponde il creatore, in altre parole che la storia non è autobiografica. Tuttavia non si può fare a meno di rilevare elementi autobiografici, come è giusto che sia in una storia che in fondo non è altro che una sorta di lunga seduta di autoterapia, una discesa nell’inconscio condotta in solitudine, o al massimo con delle “guide” che sono frutto di quello stesso inconscio. Drogo Colombo, infatti, dialoga nientemeno che con Dino Buzzati, Alda Merini, Bruno Munari, Lucio Fontana, Piero Manzoni, artisti milanesi, di nascita o d’adozione, anime della città e fonti di ispirazione per il personaggio e per l’artista. Con una riuscita narrazione sincopata, la storia si muove avanti e indietro nel tempo, tra realtà e immaginazione, trionfi e cadute, ricordo e presente, ponendo domande piuttosto che fornire risposte. E il disegno segue questo altalenare narrativo con una notevole varietà di stili grafici e un utilizzo del colore vivace e ponderato al medesimo tempo. Medesima varietà per la composizione delle tavole, estremamente libera, ma sempre funzionale alla narrazione, allo spazio, al tempo e al grado di realtà delle singole situazioni.
Accompagnato da un gatto parlante – che non è un gatto e non è parlante, ma come abbiamo già detto realtà e immaginazione si mescolano – il protagonista desidera quello che vuole ogni artista: diventare immortale. Ben presto comprende che per diventare immortali è necessario vivere, attività che comporta non poca fatica, preoccupazioni, problemi, incidenti di percorso. La vita, insomma, non è affatto semplice, come potrebbe quindi esserlo l’immortalità? Dopotutto, come diceva John Lennon, la vita è tutto ciò che ti succede mentre sei impegnato a fare altri programmi. E, aggiungeremmo, il prezzo che richiede di pagare talvolta è molto alto.
Secondo quanto spiegato dall’autore in un’intervista, il fumetto parla “di ambizioni artistiche perse per strada, di come cerchiamo sempre quello che non abbiamo e di come poi il successo, una volta raggiunto, abbia dei risvolti poco immaginabili. Parla di Milano e del suo rapporto con l’arte, il tutto per bocca dei alcuni tra gli artisti più rappresentativi del ‘900 meneghino.”
Il titolo “Un romantico a Milano” deriva dalla canzone del gruppo indie rock Baustelle, che come il romanzo grafico rende la città personaggio, importante presenza scenica, connotazione visiva e narrativa. Tuttavia, anche pervaso di milanesità, questo graphic novel è un racconto universale poiché narra della discesa all’interno di un anima, quella del protagonista, tormentata di dubbi e ricca di spigolature, come in fondo deve essere anche una grande città.
Il protagonista, un po’ come ogni artista maledetto, deve toccare il fondo prima di cominciare la risalita.
È interessante notare come autore di testi e disegni di una storia tanto introspettiva sia un disegnatore di fumetto popolare (Dylan Dog su tutti), segno che la differenza tra popolare e d’autore si va assottigliando e che un autore, un artista, è in grado di modulare le proprie doti anche in base allo strumento utilizzato.
Segnalo anche un piacevole vezzo dell’autore. I molteplici riferimenti al mondo del fumetto italiano, le citazioni grafiche di diversi autori del passato e del presente come Andrea Pazienza, Gipi, Zerocalcare, Davide Toffolo e Hugo Pratt. Infine, il titolo del fumetto di successo di Drogo, In estate le mie mani sapevano di mare, è una sorta di divertito omaggio al precedente volume del suo autore, In inverno le mie mani sapevano di mandarino. Ancora una volta realtà e finzione giocano a rimpiattino.

LA SCHEDA
Sergio Gerasi
Un romantico a Milano
Bao Publishing, pp. 176, euro 20,00


martedì 3 settembre 2019

SHIGERU KOMATSUZAKI: COWBOY & MODELLINI


Nato nel 1915, Shigeru Komatsuzaki è un artista sconosciuto in Italia al pubblico di lettori di fumetti, ma probabilmente noto, magari senza esserne coscienti, a molti appassionati di modellismo e a fan di b-movie di fantascienza. Questo prolifico disegnatore, rimasto attivo sulla scena giapponese per circa quarant’anni, ha infatto prestato la propria matita e la propria fantasia a svariati media. Komatsuzaki comincia a lavorare nel mondo dell’editoria a fine anni Quaranta. Nel Giappone postbellico, impegnato nella ricostruzione, cominciano a essere pubblicate molte riviste dedicate a un pubblico di bambini e Komatsuzaki disegna le copertine di molte. Inoltre firma delle sorta di racconti illustrati, ove la narrazione è affidata a parole in prosa, mentre dettagliate e realistiche immagini riempiono la maggior parte della pagina. Sono principalmente storie western e di fantascienza, ma non mancano avventure ambientate nella giungla, altre con samurai, altre ancora con pirati e cavalieri. Ne sono spesso protagonisti dei ragazzini, grazie a i quali risulta più semplice l’immedesimazione dei lettori. Il disegno è molto differente da quello che oggi viene catalogato come manga. Osamu Tezuka, col suo tratto semplice e gli occhioni, non si è ancora imposto e lo stile grafico imperante prevede ricerca del realismo, tratteggio fitto, sfondi ricchi di dettagli. Komatsuzaki è un perfetto interprete di tale scuola di disegno, perfezionista nelle anatomie, nella rappresentazione di destrieri e armi, mezzi meccanici e divise militari. Persino le sue astronavi paiono vere, luccicanti mezzi di trasporto di un futuro che l’autore sembra aver visitato.
È proprio in virtù di questa sua precisione, nonché della capacità di rendere credibili e dinamici mezzi reali e inventati che, per tutti gli anni Sessanta e Settanta, diviene uno degli illustratori più gettonati dalle case di modellismo. Chiamato a dipingere le illustrazioni che decorano le scatole di montaggio di mezzi della Seconda Guerra Mondiale (arei, carri armati, navi, ecc.) e di futuristici mondi, Komatsuzaki illustra con perizia non solo le macchine, ma anche tutto ciò che gli sta attorno, creando quadri di luoghi reali e immaginari.
Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, di tanto in tanto collabora anche col mondo del cinema. Il suo lavoro più noto è quello per il film del 1963 Atragon, in cui, seppur non accreditato, svolge il ruolo di visual designer, dopotutto ha già realizzato le illustrazione per i romanzi da cui è tratta la pellicola: Kaitei Gunkan (“Nave da guerra sottomarina”), di Shunro Oshikawa, fantascientifiche storie di matrice verniana nelle quali la Terra deve affrontare le forze sottomarine del sommerso impero di Mu. Già nel 1957 e nel 1959 Komatsuzaki aveva aiutato dei registi nel visualizzare mezzi e mondi fantastici, nei film Chikyu Boeigun (in Italia I misteriani) e Uchu Daisenso (in Italia Inferno nella stratosfera).
Il suo lavoro di illustratore gli consente di dare una personale interpretazione di classici romanzi occidentali, come Il conte di Montecristo, ma anche di famosi personaggi dei manga e dei tokustatsu, come Mazinga e Kamen Rider, immortalati su scatole di montaggio.
Shigeru Komatsuzaki scompare nel dicembre del 2001, a causa di un attacco di cuore, all’età di 86 anni.




Per tutte le immagini © Shigeru Komatsuzaki