domenica 18 luglio 2021

BIGLIE…


Fa caldo. Io me le ricordo quelle estati calde di decenni fa, quando eravamo bambini. I campi di pannocchie che parevano infiniti. Le ore passate all’ombra dei palazzi. Le partite a biglie, le gazzose al baracchino. Quei campi non ci sono più, divorati dal cemento, dalle strade, dalle case. Nessuno gioca più a biglie con me. Mi restano solo il caldo e le gazzose. E brandelli di ricordi, di odori e risate lontane nel tempo. Che darei per un’altra partita a biglie…

mercoledì 30 giugno 2021

TAPPI…


Avevamo milioni di tappi e non ci serviva altro. Colorati, appiattiti tappi di gassose e bibite varie, cerchi di metallo per qualcuno inutili, per noi scintillanti gioielli con cui sfidarsi in partite infinite. Su quelle piste dai contorni di gesso, quei marciapiedi che parevano interminabili. Non possedevamo nulla eppure avevamo tutto. Quella forma perfetta nella sua semplicità, colpita da tocchi di dito per prendere velocità. Concentrati in sfide senza premi, mentre il mondo attorno si faceva sfumato.

sabato 26 giugno 2021

IL PITORE DI SANTINI


Ideatore e autore dell’Omino Bufo è il Pitore di Santini, un ometto sgraziato che somiglia in modo evidente alla propria creatura, con la sola aggiunta di un basco (che fa molto artista) e di una barba poco attraente. Abituato a disegnare sui marciapiedi, viene chiamato a realizzare la rubrica Tilt per il settimanale Corriere dei Ragazzi quando i titolari – gli sfaccendati Alfredo Castelli, Bonvi e Daniele Fagarazzi – sono in ritardo. A suo stesso dire, quindi, “trufa l’asienda diseniando sciochesse”. Già, perché il suo italiano è perfettamente in linea col suo disegno: scorretto e grossolano. Ben presto, tuttavia, si scopre che il Pitore di Santini non esiste. Si tratta di un autore inventato, una farsa messa in piedi da Alfredo Castelli, forse per prendere doppio stipendio. Ecco perché questa biografia è incentrata su Alfredo Castelli e non sul Pitore di Santini.
Nato a Milano il 26 giugno del 1947, Castelli vanta un curriculum vitae di tutto rispetto, avendo cominciato a occuparsi di nuvolette nell’ormai lontano 1966, fondando la fanzine Comics Club 104. Negli anni successivi collabora a diverse testate, tra cui Tiramolla e Topolino. La svolta avviene nel 1972 quando entra a far parte della redazione del Corriere dei Ragazzi (Rizzoli), settimanale per il quale scrive articoli e sceneggiature e si improvvisa persino disegnatore. Non solo, in tale ambito lavorativo il giovane Castelli può permettersi di sfogare tutta la sua vena umoristica, che lo porta a essere additato da alcuni colleghi come “eterno bambinone”, eufemismo, a suo stesso dire, per “deficiente”. Racconta proprio Castelli ricordando quel periodo. “Eravamo chiassosi, ci abbandonavamo ad atti che erano definiti ‘goliardate’. Federico Maggioni (un grafico, ndr), Alvaro Mazzanti (altro grafico, ndr) e io, per esempio, mettevamo insieme di nascosto i compensi di tutti e tre (allora pagavano in contanti), e questo costituiva già una contravvenzione al divieto aziendale di comunicare agli altri l’entità del proprio stipendio. Poi, ognuno di noi, a turno, apriva la busta e contava il grosso malloppo di banconote, fingendo di non volersi far notare, ma in modo da farci vedere dal ‘tirchio’ della redazione, che scoppiava di bile quando vedeva la cifra che apparentemente guadagnavamo noi ultimi venuti.”
L’esperienza col Corriere dei Ragazzi si interrompe nel 1976, quando Castelli passa alla casa editrice di Sergio Bonelli, per cui scrive sceneggiature per Zagor, Ken Parker, Mister No e, in seguito, crea un proprio personaggio: il detective dell’impossibile Martin Mystere.
Anche presso la sua nuova “casa editoriale” l’ormai affermato scrittore non lesina in trovate goliardiche. Nel 1998 scrive il Dizionario dei Misteri – I segreti di Bonelli, un fascicolo realizzato in una sola copia che raccoglie un lungo elenco di aneddoti che riguardano Sergio Bonelli: idiosincrasie e gaffe annotate con grande cura e sense of humour. L’albo nasce come regalo di compleanno per lo stesso editore, con la promessa che il suo contenuto non sarebbe stato divulgato. Promessa mantenuta solo in parte, dato che negli anni qualcosa è comunque trapelato. Sempre riguardo Bonelli, è di dominio pubblico la divertente diatriba sui calzoni corti di Castelli. Bonelli afferma, infatti, che quando Alfredo si è presentato in redazione per la prima volta aveva i pantaloni corti, ma Castelli giura l’esatto contrario e come risposta realizza una vignetta, in stile Pitore di Santini, nella quale i due, entrambi anziani e su sedia a rotelle, si additano a vicenda sostenendo di aver visto l’altro in fasce. Uno sfottò reso possibile dal forte legame di amicizia che li lega, testimoniato tra l’altro da Bonelli in una intervista nella quale racconta: “ad accomunarci è senz’altro quella particolare curiosità che ci spinge a leggere gli stessi libri, a vedere gli stessi film, ma anche a scoprire di esserci separatamente soffermati a osservare, nella grande confusione di un mercatino popolare, esattamente lo stesso oggetto. Abbiamo pure in comune la predilezione per il lato comico della vita e, perché no, anche delle storie che inventiamo. Siamo inoltre simili nella dinamicità che ci spinge verso lunghi frequenti viaggi, come nella dolce pigrizia che ci imprigiona per lungo tempo nei rispettivi studi, tra una confusa montagna di oggetti bizzarri, statuine di legno, gomma, plastica, vecchi ritagli di giornale, giocattoli antichi e paccottiglia di ogni sorta.” È questo forse il ritratto migliore di una delle figure più professionali e al contempo più anarchiche del fumetto nostrano, Alfredo Castelli di giorno, Pitore di Santini di notte (o viceversa).


domenica 23 maggio 2021

MONDI CHE NON SI TROVANO ALTROVE Kentaro Miura



Questa intervista risale a oltre quindici anni fa. Vista la recente scomparsa di Kentaro Miura, la ripropongo in questa sede.

Berserk denota una certa passione per il medioevo europeo. Come è nata e ha influenza nel suo lavoro? 
Le informazioni che si hanno in Giappone sul fantasy occidentale sono un po’ strane. Trovo che i giapponesi siano senza ombra di dubbio il popolo asiatico che più di tutti ama il fantasy europeo. Questo forse è dovuto anche alla storia del dopoguerra. La visione dei valori di questo paese, in Occidente e altrove, è stata per lungo tempo erroneamente intesa: penso che ciò venga espresso in modo del tutto rimarchevole in certi generi fantasy in cui si portano sulla carta determinate immagini e sogni. La maggior parte dei bambini giapponesi ha più familiarità con cavalieri il cui corpo è protetto da corazze piuttosto che con i samurai e i loro chonmage (la pettinatura tipica dei samurai, con un ciuffo di capelli raccolto sulla sommità del capo, Ndr). Il fantasy corrisponde proprio alla magia della spada. Anch’io, per quanto riesca a ricordare, sono cresciuto con questa visione. 
Nel disegnare manga fantasy, io voglio realizzare storie che rendano partecipe il lettore. Quando mi metto a esaminare in modo approfondito le sensazioni di chi fa parte della scena, mi viene naturale ritrovarmi nel medioevo europeo. 
Naturalmente non è il vero medioevo, ma un’immagine fasulla, ricreata, dell’Europa dell’epoca, che riscuote molto successo oggi in un paese orientale come il Giappone. 
Probabilmente, dei samurai o dei ninja disegnati da un occidentale agli occhi di noi giapponesi apparirebbero bizzarri, ma forse lo stesso mondo medioevale di Berserk appare strano agli occidentali, non è così? 
Io sono sorpreso dell’accoglienza ricevuta da Berserk, non tanto presso il pubblico dei moderni giapponesi cui era indirizzato quanto piuttosto presso i lettori del luogo in cui si svolge la storia, ossia l’Europa e in particolare l’Italia… 

Ho notato riferimenti a pittori/illustratori europei inquietanti come Maurits Cornelis Escher (1898-1974, illustratore/matematico specializzato in "illusioni spaziali") e Hieronymus Bosch (1450-1516, pittore fiammingo con una predilezione per le rappresentazioni mostruose). Ha "studiato" le loro opere? 
Apprezzo sia Bosch che Escher, di cui ho anche volumi che ne raccolgono le opere. Inoltre mi piacciono le acqueforti di Pieter "il giovane" Bruegel (1564-1637/8, autore di ossessive rappresentazioni di scene infernali, Ndr) e Gustave Doré (1832-83, scultore, illustratore e pittore francese, celebre per le sue illustrazioni de La Divina Commedia, Ndr) mentre tra gli illustratori ammiro Frank Franzetta (1928, famoso illustratore e fumettista americano, Ndr) e Luis Morrison. 

In Berserk sembrano coesistere due filoni: quello storico/avventuroso e quello fantastico/horrorifico, tuttavia mi sembra che il secondo abbia preso il sopravvento. È d'accordo? 
Berserk è prima di tutto un fantasy. Le parti storiche sono state inserite per aumentare la sensazione di realtà, per scaraventare il lettore sul luogo dell’azione. Inizialmente feci coesistere i due filoni per far sì che mi leggessero anche lettori comuni, coloro che non provano particolare interesse per il fantasy e il fantastico. Non volevo assolutamente fare un’opera solo per maniaci. 

Il lunghissimo flashback con la storia della Squadra dei falchi permette alla storia di "decollare". Lo aveva previsto sin dal principio? 
I manga che personalmente prediligo sono quelli in cui i lettori riescono a “legarsi” ai personaggi, ossia provarne simpatia e compassione, immedesimarvisi. 
Come un poema in prosa dunque, pensai che sarebbe stato meglio raccontare la vita del protagonista tutta d’un fiato, in modo da rafforzare l’amore dei lettori per Gatsu… Certo che però si è prolungata in modo inaspettato! Ma ormai è quel che è fatto è fatto. 
Però, nonostante l’inesperienza, penso di aver dato delle buone rifiniture a un’opera che riesce a creare empatia. 

Uno dei punti di forza di Berserk durante il flashback era proprio la ricchezza di personaggi, non le è spiaciuto "sacrificare" tutta la squadra dei falchi? 
Stranamente è una cosa che ho fatto con la massima serenità. Lasciarsi prendere esageratamente da un certo personaggio non è molto naturale per colui che crea l’opera, come invece può esserlo per i lettori. 
Quello che per me contava era che nel manga l’apparizione di tali personaggi avesse un senso: ci sono momenti per vivere e momenti in cui ci si confronta con la morte… 
Non so se questo possa risultare strano, ma è una cosa cui tengo molto. 

Ha seguito la lavorazione dell'anime di Berserk? E come trova il risultato finale? 
Per la produzione della serie TV sono sempre stato impegnatissimo e pressato dagli impegni, ma non credo che si sia sprecato denaro o tempo. 
Nei loro limiti, tutte le persone impegnate nell'anime stanno facendo del loro meglio. Naturalmente anch’io, quando il tempo me lo ha permesso, ho collaborato con piacere. 

Mi risulta che stia preparando un videogame di Berserk, di cosa si tratta? 
L’anime è incentrato sulla squadra dei falchi, praticamente solo sulla storia dei cavalieri neri, il gioco (per Dreamcast, Ndr) sarà qualcosa di diverso. È il primo mix mediatico relativo a Berserk, e forse sconvolgerà le idee di chi si era creato l’immagine di Gatsu unicamente come cavaliere nero. Fortunatamente, rispetto all’anime ho avuto più tempo a mia disposizione. Non è ancora completo, ma sta venendo abbastanza bene. 

Berserk la sta assorbendo totalmente, pensa che in futuro tornerà al lavoro su “Japan” o sta pensando ad altre storie? 
Non ho intenzione di tornare su “Japan”, ma prima o poi vorrei provare a disegnare qualcosa di fantascienza. Penso che il fascino squisito dell’essere mangaka consista proprio nella possibilità di creare “mondi” sempre differenti che non si trovano altrove.

martedì 4 maggio 2021

CHI È QUELLA BAMBINA?


Ogni volta che piove nella mia mente (dal funzionamento un po’ bislacco, lo ammetto) si forma un’immagine che trovo malinconica e gioiosa al medesimo tempo. È l’immagine di Totoro che aspetta alla fermata di un autobus, con una foglia quale copricapo, e una bimba un po’ perplessa con ombrello al suo fianco. Trovo sia una delle immagini più poetiche del mondo dell’animazione e non solo. Nella penombra di quel luogo imprecisato, in mezzo alla campagna, mi pare quasi di sentire il picchiettare delle gocce d’acqua che cadono su alberi e terreno. Sto parlando del film, o meglio della sua locandina, “Il mio vicino Totoro”, creato da Hayao Miyazaki e distribuito in Giappone nel 1988. Tuttavia, quel poster ha qualcosa che non va. Nonostante si tratti del poster della versione originale apparsa nelle sale, utilizzato talvolta anche come cover del DVD o per scopi pubblicitari, la ragazzina a fianco di Totoro non è un personaggio del film. Non è né Satsuki né Mei, le due bambine che nel film incontrano Totoro. Un giornalista giapponese ha deciso di indagare per scoprire chi sia quella misteriosa ragazzina. “Il mio vicino Totoro” originariamente era un libro illustrato per bambini, che è stato poi trasformato in un film. Quando è arrivato il momento di creare la locandina per il film, Miyazaki non è riuscito a trovare la giusta composizione e, dopo diverse revisioni, ha deciso di tornare all’immagine originale del libro illustrato realizzandone una molto simile. Ma perché il poster ha resistito tutti questi anni senza che ne fosse realizzato uno nuovo con le bambine che, invece, nel film sono presenti? All’inizio “Il mio vicino Totoro” non riscosse un grande successo, divenendo molto popolare solo dopo essere stato trasmesso più volte in televisione, per questo motivo e forse per un pizzico di pigrizia (o perché era comunque perfetto così), lo Studio Ghibli non ha mai pensato di cambiarne il poster, che resta bellissimo.