domenica 29 luglio 2018

ADDIO A CORTEZ

Il 26 luglio è venuto a mancare Luigi Corteggi. Lo ricordo con questa scheda che ne ripercorre la carriera.


Nato a Milano il 21 giugno 1933, dopo aver frequentato l’Accademia di Brera e aver conseguito una specializzazione in grafica Luigi Corteggi apre uno studio pubblicitario con un socio. Nel 1962 comincia a collaborare con la casa editrice Universo, per la quale realizza giochi e illustrazioni, ma anche alcuni episodi per L’Intrepido del fumetto umoristico Superbone, monello gradasso ma anche ingenuo e sfortunato.
Nel 1965 approda all’editoriale Corno, per la quale disegna con lo pseudonimo Cortez alcune avventure di Maschera Nera, western creato da Max Bunker alias Luciano Secchi. Comincia quindi una duratura collaborazione con la casa editrice e lo sceneggiatore, realizzando i disegni di vari numeri dei neri Kriminal e Satanik, nonché un paio di episodi di Gesebel, la corsara dello spazio nata sempre dalla fantasia di Bunker. Per tali serie si occupa anche della grafica e delle copertine, che realizza con tecnica pittorica e con una straordinaria cura di ogni elemento grafico, creando composizioni assai suggestive e moderne.
Realizza anche le prime dodici copertine di Alan Ford, ideandone pure il logo, sempre in stile pittorico, puntando questa volta su sfondi bianchi su cui ben si stagliano le figure dei personaggi.
Nonostante l’intesa attività per la Corno, cui affianca quella privata di pittore, nel 1969 trova il tempo per altri lavori, tra cui disegnare cartoline umoristiche, lavori grafici per riviste e, soprattutto, per disegnare Thomas, un western thrilling per adulti dell’Editrice Augusta, di cui esce un solo episodio (ma Corteggi ne disegna anche il secondo) a causa del fallimento dell’editore.
Nel 1975 entra nello staff della Bonelli, dedicandosi prima alla grafica delle collane Un Uomo un’avventura e America e poi a disegnare le copertine del Piccolo Ranger, in sostituzione di Franco Donatelli che utilizza uno stile pittorico simile al suo.
Sempre per Bonelli diviene redattore e art director e in tale veste crea i loghi della maggior parte delle testate, incluso quello di Mister No, molti dei quali destinati a durare sino ai giorni nostri.
Nel 1980, per la Collana Rodeo, disegna "L'astronave perduta", una bella avventura di fantascienza, scritta da Giorgio Pezzin e composta da un unico episodio.
Contemporaneamente all’attività in Bonelli, dal 1976 collabora brevemente con Il Giornalino disegnando illustrazioni di carattere spaziale, mentre per la casa editrice Mercury realizza Meteor & Co., fumetto per ragazzi in cui mette a frutto la propria passione per l’astronomia. Del 1981 è invece il suo Benigni a fumetti.
Nel 2004 il Castello di Bereguardo (in provincia di Pavia) ospita una sua personale dal titolo Luigi Corteggi: dal paesaggio al fantastico, dedicata a una serie di quadri in cui il mondo della realtà si contrappone a quello dei sogni e della fantasia.
Nel 2005 la casa editrice IF gli dedica il volumetto La grafica di Corteggi dalla Corno alla Bonelli, in cui viene finalmente svelato lo splendido lavoro svolto da Corteggi sui loghi e sulla grafica dei più importanti fumetti italiani degli ultimi quarant’anni.

venerdì 27 luglio 2018

DEADWOOD DICK


Il mio amico in divisa blu ci teneva a presentarvi il primo numero di "Deadwood Dick", nuova serie western della Sergio Bonelli Editore, dopotutto è anche lui un Buffalo Soldier (così venivano chiamati i soldati di colore arruolati in appositi reparti) proprio come il protagonista.
A parte gli scherzi, questa nuova pubblicazione merita decisamente una lettura. Confesso subito di non avere letto il romanzo di Joe R. Lansdale da cui è stata adattata la storia, ma il risultato finale è una ventata di aria fresca nel panorama del western nostrano che da parecchio non propone nulla di nuovo. Il protagonista, Deadwood Dick è un uomo di colore che per sfuggire a una ingiusta impiccagione si arruola tra i Buffalo Soldiers. La sua avventura è efficacemente narrata "a singhiozzo" andanti avanti e indietro nel tempo, ma senza che ciò danneggi il ritmo narrativo, anzi rafforzandolo e aggiungendo dettagli di volta in volta. I dialoghi sono ricchi ed efficaci, il disegno di Corrado Mastantuono uno spettacolo per gli occhi, col suo tratteggio ricco e curato, le vignette dettagliate (ma non inutilmente), il bell'equilibrio tra bianchi e neri. In apertura di albo anche un paio di redazionali, merce rara ultimamente visto che anche pubblicazioni molto più costose non si degnano di inserire neanche due righe su storia e autori. Insomma, da seguire sperando che anche i numeri successivi siano all'altezza, ma non vedo perché non dovrebbero esserlo. Infine, citazione per Michele Masiero, colonna della Bonelli, che si è ben occupato della sceneggiatura.



lunedì 2 luglio 2018

DALLA CINA CON SPLENDORE


Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, il nascente fumetto cinese era conosciuto con molti nomi a seconda delle sue sfumature: fengci hua (“disegni satirici”), yuyi hua (“dipinti allegorici”), zhengzhi hua (“dipinti politici”), ecc., mentre con lianhuantu venivano indicati dei libretti contenenti storie narrate per immagini. Il termine lian huan hua (letteralmente “immagini incatenate”) è quello che si è poi imposto per indicare genericamente il fumetto cinese. La definizione rende bene l'idea della sequenza di immagini in correlazione tra loro per formare un'opera di narrativa. Per quel che riguarda le strisce si parla invece di si ge man hua (“storie in quattro vignette”).
In tempi odierni ha preso invece piede il termine manhua, probabilmente mutuato da Hong Kong, per indicare i fumetti moderni. Dopo decenni di difficoltà, in cui era stato trasformato in mezzo di propaganda oppure in un clone dei vicini manga, il fumetto cinese da circa un decennio comincia finalmente a mostrare le proprie potenzialità. Gli autori scalpitano per liberarsi dai vincoli del passato e le loro opere vengono timidamente pubblicate all’estero. Come nella caso della giovane Zao Dao (classe 1990) che approdata nel mercato francese inizia a essere tradotta nel resto d’Europa. Il suo graphic novel “Il soffio del vento tra i primi” racconta la storia dell’altrettanto giovane Yaya, che abbandona il villaggio natale per sfidare le tempeste e combattere le bestie feroci che obbediscono a un terribile demone, Rakshasa, la donna cannibale. Con l’aiuto di Juiling, la fata delle montagne, Yaya apprende i misteri della natura e a leggere il vento, strumento utilissimo per combattere, i demoni e gli spiriti al servizio di Rakshasa. Yaya deve affrontare l’ignoto, deve imparare a vivere oltre che combattere, deve insomma intraprendere un viaggio iniziatico allo scoperta di se stessa. Non è un caso, quindi, se i titoli dei cinque capitoli di cui si compone l’opera corrispondono ai cinque elementi che fanno parte dei pilastri del pensiero cinese, di cui si avvale anche la medicina tradizionale. La costituzione dell’individuo, infatti, dipende dal prevalere di uno dei suddetti cinque elementi: legno, fuoco, terra, metallo, acqua. La loro influenza riveste un ruolo fondamentale, nella personalizzazione della cura e nella prevenzione. Se si scopre l’elemento base di una persona, si possono individuarne e attenuarne eventuali punti di debolezza, predisposizioni a malanni e adattarsi meglio ai cambiamenti indotti dai cicli stagionali, biologici ed esistenziali. Insomma, Zao Dao fa propri elementi tradizionali della cultura cinese, così come si appropria di alcuni suoi elementi grafici. Non fumettistici, che come si diceva sopra appaiono datati, ma pittorici. Le sue tavole sembrano dipinti, ricchi e dettagliati, rifuggendo la tradizionale struttura con suddivisione in vignette per preferire, nella stragrande maggioranza dei casi, illustrazioni a tutta pagina o addirittura a doppia pagina. Ricordano la pittura paesaggistica cinese detta shan shui, che raffigura paesaggi naturali e si rifà a sua volta alla teoria dei cinque elementi, abbinando a ogni elemento un colore e una “direzione” nel dipinto. Ovviamente, Zao Dao interpreta in modo personale tale indicazioni, facendo per esempio un uso più ampio e soggettivo dei colori. Le sue tavole sono ricchissime di dettagli e di sfumature, a tal punto da perdercisi dentro, tra montagne svettanti e prati popolati da decine di uccelli, o ancora interni straripanti di lanterne, oggetti, teiere, frutti. Sembra quasi di esserci, in quei luoghi orientaleggianti e fantastici, in quegli sfondi che sembrano senza confini e che le dimensioni della pagina non riescono a contenere al proprio interno. Sfogliare “Il soffio del vento tra i pini” significa perdersi in un mondo violento e pauroso, ma anche intrigante, bellissimo, quasi ipnotico, che non si vorrebbe mai lasciare. Tutto ciò, però, ha un prezzo. Il fumetto è narrazione, non solo immagine, e la scelta di puntare tutto su quest’ultima penalizza molto la storia, rendendola quasi un pretesto per fare sfoggio di doti artistiche. Il gioco, comunque, vale la candela e dispiace voltare l’ultima pagina del volume abbandonando quei luoghi maestosi e quei dettagli di cultura antica che ci hanno incantato. In chiusura solo una piccola nota sull’edizione, ottima dal punto di vista cartotecnico ma carente sul piano dell’informazione. Secondo una brutta abitudine ormai molto in voga tra gli editori di fumetti, non solo non è presente nessuna introduzione, ma neanche una biografia dell’autrice, che fino a oggi sconosciuta in Occidente avrebbe avuto bisogno quantomeno di una piccola presentazione. Ma forse sono noi che sono troppo esigenti…

Zao Dao
Il soffio del vento tra i pini
Edizioni Oblomov
pp. 120, euro 18,00