lunedì 14 gennaio 2019

LA NUOVA FRONTIERA DC


Dato che è stato recentemente ristampato il fumetto "La Nuova Frontiera" (in edizione lussuosissima) del compianto Darwyn Cooke (scomparso prematuramente nel 2016), rispolvero una mia vecchia recensione.

Anche le vecchie glorie, se affidate a giovani mani e menti vivaci, possono sorprendere per vitalità e innovazione. È quanto accaduto alla Justice League, uno dei pù vecchi supergruppi della DC Comics (nato sulle ceneri della Justice Society of America), in cui militano tipetti come Batman, Superman e Wonder Woman, giusto per citare i più noti ma non necessariamente i più interessanti. Come può essere innovativo un gruppo che calca le scene da qualche decennio? Semplice, affidandole a un giovane artista tra i più interessanti dell’attuale scena americana, Darwyn Cooke, che lo rende protagonista di una straordinaria miniserie a fumetti (edita in due volumi anche in Italia e ora ristampata in un unico tomo) poi trasformata in un lungometraggio animato. Stiamo parlando di Justice League the New Frontier, un’operazione multimediale che è molto più di un semplice svecchiamento di un gruppo di eroi apparentemente logori, ma anche un atto d’amore nei confronti degli stessi, e una storia avvincente che scava a fondo nella loro personalità, nonché nei sogni e nel disincanto di un’America anni Cinquanta che ricorda molto quella dei nostri giorni. Il colpo di genio di Cooke consiste proprio nell’ambientare la vicenda in un periodo particolare per gli Usa, che usciti vittoriosi dalla Seconda guerra mondiale e pronti ad abbracciare le meraviglie della scienza e della tecnologia, devono immediatamente rintuzzare gli entusiasmi di fronte alla guerra di Corea, l’arrivo della guerra fredda e l’incombere del pericolo atomico. Un periodo, insomma, ricco di contraddizioni, tra cui i supereroi. Il governo americano ben presto mette fuori legge questi giustizieri mascherati. Coloro che non accettano tale decisione vengono braccati come delinquenti, visti con sospetto dalla popolazione. Memorabile la battuta di un comune cittadino che sottolinea con malevolo sarcasmo che il costume di Flash è rosso, il colore dei comunisti. Batman, anarchico come sempre, è l’unico che si rifiuta di subire le disposizioni governative, mentre Superman diventa una sorta di lacché del governo. In una posizione intermedia si trova Wonder Woman, che in realtà non è americana, ma che porta con sé un femminismo duro e dirompente per il mondo di metà Novecento. Messi i costumi sotto naftalina, gli eroi sembrano rassegnati alla loro uscita di scena, fino a quando una minaccia di proporzioni spaventose sveglia l’America dal suo torpore retrogrado e li richiama in campo. The Centre – creatura mostruosa, gigantesca e apparentemente invincibile (forse metafora dell’ignoranza bigotta dell’uomo) – può essere fermata solo dall’azione combinata di tutte le forze in gioco, dall’esercito e dai supereroi pronti a battersi fianco a fianco. È tempo di eroi, prima che di supereroi, di uomini e donne pronte al sacrificio per un bene più alto. In fondo è proprio questo il tema centrale della storia, come ha sottolineato lo stesso Darwin Cooke nel commentare la sua opera. Non a caso uno dei personaggi principali è Hal Jordan, pilota di arerei destinato a diventare Lanterna Verde, ma il cui apporto più significativo, a livello umano e narrativo, avviene prima che si trasformi in un supereroe. Il film in animazione per questioni di tempo è costretto a tagliare molte parti del fumetto originario, ma ne lascia intatto lo spirito e riesce anche a replicarne sullo schermo il tratto moderno e spigoloso, la ricerca di un segno essenziale ma efficace, che sa essere adulto e talvolta “cattivo” senza bisogno di cercare il realismo. Un disegno, tra l’altro, che ben si sposa con le esigenze dell’animazione, fluida e piacevole, e che si fonde ottimamente col design anni Cinquanta che rappresenta un altro dei punti forti della pellicola. Insomma, una visione fortemente consigliata.


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