venerdì 17 aprile 2015

LA SF DI JEFF HAWKE


La fantascienza è uno di quei generi che il media fumetto ha esplorato, e ancora esplora, in lungo e in largo anche sotto forma di svariati sottogeneri. L’approccio alla stessa varia anche a seconda del background culturale dei suoi autori. Sarà anche per questo che, storicamente, le grandi serie di origine statunitense si sono spesso dimostrate più avventurose e fantastiche rispetto a quelle inglesi, dal taglio maggiormente realistico e tecnologico. Esemplare in questo senso uno dei personaggi più noti del fumetto british, quel Dan Dare che nel 1950, grazie a Frank Hampson, colpisce i lettori della terra di Albione con i suoi colori sgargianti. Dan Dare, dai gradi di colonnello, è un pilota coraggioso e dallo spiccato senso del dovere, al servizio della flotta interplanetaria. In tale veste visita Venere e altri pianeti, si batte contro alieni malvagi, tra cui il terribile Mekon dalla grossa testa, costantemente intento a progettare macchinosi piani per conquistare la Terra. Nonostante la componente fortemente avventurosa, la serie poggia su solide basi scientifiche, cercando di codificare una tecnologia che sia una logica evoluzione di quella esistente all’epoca, tanto da anticipare gli Shuttle poi effettivamente usati dalla Nasa. 


Lo spazio e le creature aliene sono i punti di forza anche di un altro serial inglese (quello di cui ci occupiamo ora), questa volta in bianco nero perché nato per le strisce dei quotidiani (e non per la pagine di una rivista come Dan Dare). Si tratta di Jeff Hawke, creato nel 1954 dallo scozzese Sydney Jordan. Il personaggio, inizialmente un pilota della RAF (l'aviazione inglese), viene rapito dagli extraterrestri, diviene ufficiale della Royal Space Force e comincia a viaggiare per il mondo e per lo spazio, avendo a che fare con nuovi alieni, ma anche con misteri archeologici e altro ancora. Rigoroso scientificamente come il suo predecessore, Jeff Hawke è forse meno spettacolare graficamente e un po' più “lento” nella narrazione, ma destinato a divenire egualmente famoso. E altrettanto attento nel suggerire l’evoluzione tecnologica e nell’anticipare i traguardi dei viaggi spaziali. A tal punto che, nel 1959, una striscia della serie ipotizza che lo sbarco sulla Luna degli esseri umani avrà luogo il 4 agosto del 1969. Nella realtà avviene il 20 luglio dello stesso anno. Jordan ha “sbagliato” solo di una quindicina di giorni! Per lungo tempo, gli alieni affollano le vignette della serie incarnando un curioso contrasto, tanto sono stravaganti nell’aspetto più sono “umani” (nel bene e nel male) negli atteggiamenti. È solo con loro che il tratto realistico di Jordan si permette soluzioni che sfiorano l’umorismo. Straordinario ed efficacissimo l’uso dei retini, che donano sfumature a vignette altrimenti troppo monocordi e, diciamolo, un po’ ingessate a causa della continua ricerca di realismo. Anche le cose belle finiscono, così Jordan chiude Jeff Hawke nel 1974 per dedicarsi al nuovo Lance McLane, un medico imbarcato su un’astronave del 2074. Un giorno, però, succede qualcosa di inaspettato: dagli Stati Uniti arriva la richiesta di dare seguito alle avventure di Jeff Hawke. Dato che non ha tempo di realizzare due strisce contemporaneamente, Sidney Jordan mette in atto un ardito escamotage: fa finire Jeff in buco nero e lo fa rinascere al tempo e nel corpo di McLane. Un imbroglio bello e buono, ma poi non così sbagliato. Dopotutto, la filosofia che sta alla base di entrambe le serie è la medesima: una fantascienza seria e verosimile, un personaggio che tende alla riflessione più che all’azione. Se prima Jeff e Lance erano, editorialmente parlando, padre e figlio ora sono gemelli, anzi sono la medesima persona. È su questa seconda parte dell’esistenza di Hawke che si concentra il volume di cui parliamo, pubblicando anche alcune storie finora inedite in Italia. I confini spaziali entro cui si muove ora il personaggio sono più ristretti, la Terra è stata colpita da una nuova glaciazione e gli esseri umani sopravvivono nello spazio, su astronavi o basi lunari, in attesa di poter far rifiorire il pianeta azzurro. Gli alieni sono molto meno presenti, in sintonia con la scelta di puntare su un realismo ancora maggiore. Purtroppo, nella maggior parte delle strisce i retini spariscono, per lasciare spazio a una quadricromia (non presente nel volume in questione, tutto in bianco e nero) che richiede un alleggerimento del segno. Subentrano nuovi personaggi, come l’androide Fortuna che, col suo corpo artificiale e un cervello umano, è un po’ l’emblema della doppia anima della serie che fonde la freddezza della tecnologia col calore delle passioni umane. Leggendo, o rileggendo, oggi le storie di Hawke si può percepire un certo senso di lentezza nel dipanarsi delle trame e qualche ridondanza nell’uso delle didascalie, specie se le si confronta con altri fumetti dalla narrazione più moderna e dal formato più spazioso. Ma, a prescindere dai gusti personali, non si può fare a meno di apprezzarne l’accuratezza e l’imponente affresco complessivo, così come l’importante impianto etico che le sorregge e pone l’umanità al centro dell’attenzione. Per Hawke come per Jordan gli esseri umani hanno pregi che non devono andare perduti di fronte ai disastri ecologici, né nelle fredde vastità dello spazio, neppure nell’incontro con potentissime e indecifrabili entità aliene. Un messaggio di resistenza e di speranza davvero impegnativo, specie in tempi duri come quelli che stiamo vivendo. 


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