Per essere un fumetto muto, Arzach ha fatto molto parlare di sé sin dalla sua prima apparizione, nel 1975, sul rivoluzionario magazine francofono Metal Hurlant, scuotendo il mondo del fumetto alle fondamenta. Una manciata di brevissimi episodi, in cui anche il titolo cambia continuamente e impercettibilmente in Harzac, Harzack, Arzach, Harzak, Arzak, Harzakc, Arzaque, come se la grafia non fosse importante quanto piuttosto il suono, oppure nel tentativo di privare il lettore di ogni punto di riferimento. Silenzioso e maestoso, Arzach vola su una sorta di buffo pterodattilo, o pterodelfo, sorvolando un mondo in bilico tra fantasy e fantascienza, tra passato e futuro, un medioevo prossimo venturo in cui si imbatte in maestosi paesaggi rocciosi, in ossa di dinosauro cotte dal sole, in gigantesche creature scimmiesche, in eserciti sterminati. Talvolta si batte, altre volte ama misteriose donne, ma perlopiù segue l'invisibile filo dei propri pensieri, perennemente in movimento in storie fatte di suggestioni o, per dirla con parole del suo autore Moebius, “brulicanti di elementi onirici”. Il suo silenzio è più assordante del clangore di mille battaglie e solo in seguito, in una storia di cinque tavole del 1987, mostrerà di saper anche parlare per svelare chi è e qual è la sua missione: “Io sono Arzach, l'ultimo degli pietro-guerrieri! L'origine della mia missione risale al grande ciclo antico, quando, dopo aver perduto il talismano sacro del mio clan, fui condannato alla sua ricerca con l'astuto Zoch e il feroce Noch come unici compagni. Dal giorno in cui li acquistai dai potenti Charadine, maestri creatori di vita e di morte, i due uccelli hanno una devozione senza pari verso di me.” Poche frasi che sollevano più dubbi di quanti ne sciolgano, quindi in perfetta sintonia con un personaggio e un fumetto che fanno del sogno, della libertà, del continuo rincorrersi di immagini ed emozioni i loro principali punti di forza. Il disegno è in perfetta sintonia: maestoso e dettagliato, ma anche pulito ed essenziale, anela alla medesima libertà del suo soggetto, rifuggendo rigide gabbie e imposizioni di ogni tipo, optando per il colore o il bianco e nero, per il dettaglio e la visione d'insieme, per il tratteggio o la sintesi estrema, figlio di una fantasia che non può essere incatenata neanche graficamente.
E non può essere incatenato nemmeno Arzak (questo il nome definitivo), che negli anni duemila è pronto a tornare alla ribalta. “Arzak voleva vivere”, spiega proprio Moebius, “ e non tardò a farmelo sapere.” Così l’autore imbastisce una nuova storia, “L’ispettore”, questa volta lunga, e fa parlare il suo personaggio. Arzak è ancora un guerriero solitario, ma anche un ispettore di una fantomatica organizzazione per cui è alla ricerca di una misteriosa anomalia. Sul pianeta Tassili, il mondo dei mille deserti, “cavalcando il suo infaticabile pterodelfo, egli viaggia senza tregua. Nulla sfugge al suo sguardo attento, le lucertole delle rocce, le distese di erba assassina.” E mentre meglio si delinea la sua figura, si apprende qualcosa di più anche sulla sua cavalcatura: miscuglio di circuiti antigravitazionali integrati e di funzioni biologiche autogeneranti, collegato telepaticamente al cervello del proprio cavaliere. La trama si irrobustisce e la strada di Arzak incrocia quella di una rivolta aliena tesa a riprendere possesso del pianeta Tassali, ma anche le esistenze di creature provenienti dai vari angoli dell’universo. Fantascienza mescolata a fantasy e a un pizzico di misticismo, ricetta tipica di un Moebius ormai al vertice della propria carriera e maggiormente equilibrato da un punto di vista grafico, grazie a un tratto maestoso che sa essere pulito e dettagliato al medesimo tempo, mentre con linee morbide delinea con apparente semplicità uomini e alieni, tute spaziali e abiti sensuali, interi mondi dalle pittoresche flora e fauna. In quelle tavole ricche di vignette e di un dono visionario in grado di fondere spunti, generi ed elementi in un cocktail perfettamente riuscito, anche i colori rivestono un ruolo importante, grazie a pagine nelle quali le scelte cromatiche puntano sulle infinite sfumature di una medesima tinta per rendere delle suggestioni. Così le pianure diventano oceani di verde, le notti sono popolate da blu intensi, gli interni di futuristiche e lussuose dimore di rossi caldi. Il potere evocativo delle immagini prende il sopravvento, avviluppa il lettore, che si ritrova immerso nel mondo di Arzak, ne respira le atmosfere, ne percepisce il calore, si smarrisce nella sua vastità. La lettura ha quasi un sapore onirico e ogni nuovo dettaglio è una piccola sorpresa. Chiuse le pagine di questo nuovo volume (edito in Francia nel 2010 e in Italia a fine 2012), comprendiamo che non conosceremo mai il finale della storia. Moebius è scomparso nel 2012 e, chissà, forse ora cavalca nei cieli della fantasia sul proprio pterodelfo. Arzak è rimasto orfano e ai lettori spetta il compito di immaginarsi gli sviluppi futuri e la conclusione della sua avventura. Ammesso che ne esista una…
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