lunedì 18 dicembre 2017

IL RITORNO DI KINOWA


Kinowa è un western italiano datato anni Cinquanta che, in questi giorni di politically correct venato di sottile vigliaccheria, viene coraggiosamente riproposto in edicola nonostante temi forti e personaggi avvolti in un’aura di violenza.
Lo sceneggiatore Andrea Lavezzolo, infatti, all’epoca creò un protagonista sanguinario, a tratti persino schizofrenico, alla ricerca di vendetta. Si tratta di Sam Boyle, un uomo bianco scalpato dagli indiani Panie (che gli uccidono anche la moglie e rapiscono il figlioletto), intenzionato a mettere in atto una sanguinosa vendetta. Indossata una tenebrosa maschera da diavolo, con tanto di cornini, e assunto il nome di Kinowa, Boyle diventa un accanito massacratore di pellerossa, dando il via a molteplici avventure dove male e bene hanno toni sfumati. Anzi, a volte ci si chiede se esista il bene.
Se Lavezzolo ne scrive le storie, a creare graficamente Kinowa pensa il trio di artisti noto come EsseGesse, formato da Pietro Sartoris, Dario Guzzon e Giovanni Sinchetto. I tre, che nel giro di pochi anni diverranno una vera e propria “fabbrica” del fumetto, non amano però la serie. Si trovano infatti a disagio nel rappresentare un personaggio crudo e spietato come Kinowa e decidono di dedicarsi ad altro. Così, l’aspetto grafico di Kinowa passa a Pietro Gamba, ma solo nei prossimi numeri di questa ristampa i lettori potranno apprezzarne il lavoro.
La figura di Sam Boyle è una delle più drammatiche del fumetto italiano del tempo. Già il suo aspetto incute timore. Scotennato dagli indiani, mostra cicatrici una testa pelata atipica per un eroe del vecchio West, ma la sua immagine diventa persino orrorifica una volta indossata la luciferina maschera di Kinowa. Un nome che, nella finzione narrativa, nel dialetto degli indiani Crow significa “lo Spirito che Cerca lo Scalpo Perduto”. Sarà per questo che gli indiani che finiscono tra le sue mani vengono scalpati a loro volta. Kinowa diventa in tal modo una figura mascherata tragicamente nota a tutti i pellerossa, dal Dakota all’Arizona, dall’Arkansas all’Oklahoma.
La serie mostra quindi una fusione di generi e tematiche interessante e innovativa. Il western tipicamente italiano si contamina con un pizzico di horror, mentre la maschera di Kinowa e la sua quasi invincibilità ricordano i supereroi americani, anche se totalmente spogliati del classico buonismo del filone. Inoltre, nel corso degli episodi, si scopre che il figlio di Kinowa in realtà non è morto, ma adottato dai pellerossa è divenuto uno di loro e, ignaro delle proprie origini, brama di uccidere Kinowa per vendicare il suo nuovo popolo. Uno scontro padre-figlio, inconsapevoli di tale legame, che ha il sapore della tragedia, che può ricordare drammi shakespeariani o anticipare cinematografici kolossal futuri come Star Wars.
Certamente non son tutte rose e fiori. La serie ha quasi settant’anni, e si vede. La narrazione è spesso soffocata da verbose didascalie (un tempo molto più utilizzate di oggi) e i disegni sono frutto di un tratto pesante che fatica a trovare respiro nelle piccole vignette. Eppure, se non ci si lascia scoraggiare del difficile approccio, si scoprirà che questo fumetto venuto dal passato ha ancora qualcosa da dire. Semmai, guardando le bellissime copertine, ridisegnate in tempi odierni da Michele Benevento, ci si poterebbe chiedere quanto ancora poterebbe essere oggi popolare la serie se rinarrata e ridisegnata con tecniche più moderne dando vita a un reboot, come direbbero i cinefili, più in linea con questi angoscianti anni Duemila di quanto non lo fosse negli anni Cinquanta della ricostruzione.


Andrea Lavezzolo, EsseGesse
Kinowa
Edizioni IF
pp. 96
euro 2,90

domenica 17 dicembre 2017

WAKI YAMATO IN MOSTRA


Ancora per pochi giorni, presso lo Yayoi Museum di Tokyo (vicino al parco di Ueno e al quartiere universitario) sarà presente la mostra dal titolo “Haikara-san ga Toru (Mademoiselle Anne): Taisho Girls & The World of Waki Yamato!”, caldamente consigliata a chi apprezza gli shojo manga.
Waki Yamato (classe 1944) è una della autrici manga più apprezzate in Giappone. Ha debuttato nel 1966 con la storia breve “Dorobo tenshi”, dimostrandosi molto prolifica e realizzando numerosi titoli uno dietro lʼaltro. Dopo essersi dedicata a storie brevi o volumi autoconclusivi, nel 1972 ha dato vita alla sua prima serie lunga, “Mon Cherie CoCo”, che è stata trasposta anche in una breve versione animata. Ma è nel 1975 che vede la luce il suo manga più famoso: “Haikarasan ga tooru", noto in Italia come “Mademoiselle Anne” o come “Una ragazza alla moda”. Ambientato nellʼepoca Meiji, ovvero allʼinizio del Ventesimo secolo, il manga unisce dramma e umorismo narrando le vicende della simpatica ragazza che lotta per la propria emancipazione. Nel Giappone del 1916, in un periodo di grandi cambiamenti sociali, la giovane Hanamura Benio si distingue dalle coetanee per le sue idee moderne, in contrasto con le regole imposte dal tradizionale maschilismo. Per niente remissiva, la ragazza scopre però di essere promessa in sposa fin da bambina a un giovane sottotenente dell’esercito imperiale, un uomo molto affascinante. Nonostante i tentativi di ribellione, Benio deve fare i conti con i sentimenti. Waki yamato, attenta alla realtà storica, inserisce nelle tavole riferimenti alla moda e alle abitudini del tempo. Così la protagonista e le altre ragazze indossano kimono in modo inusuale e si spostano in bicicletta, sottolinenando il periodo di passaggio storico e la transizione del Giappone da Oriente a Occidente, pur rimanendo fortemente tradizionalista. Aspetti sottolineati dalla mostra che, oltre a bellissime tavole originali del manga e a colorate illustrazioni, espone bici e abiti del tempo, dando forma al contesto storico.
Altre tavole esposte sono dedicate alla seconda opera più nota della Yamato, “Asaki yume mishi”, iniziato nel 1979 e adattamento del celebre romanzo storico “Genji monogatari” (Storia di Genji, il principe splendente) di Murasaki Shikibu che attraverso la narrazione della vita di Genji, il “principe splendente” della corte del periodo Heian (794-1185), fornisce un quadro della vita dell‘epoca e del palazzo imperiale. Secondo quanto narratovi, una giovane fanciulla si trasferisce nel palazzo imperiale, scoprendo che a corte non solo il rango condiziona i rapporti sociali e ogni aspetto della vita quotidiana, ma anche che pettegolezzi e intrighi sono le attività più in voga tra le donne. Casualmente, si imbatte nell’imperatore senza riconoscerlo e tra i due nasce una storia d’amore che porta alla nascita di un figlio, Genji. Il bambino rimane orfano di madre a soli tre anni e a corte non è ben visto perché si teme aspiri al trono al posto del fratellastro più grande. Ma crescendo Genji sembra pensare più alle donne che alla politica.
In questo manga, il disegno della Yamato si fa più sofisticato, elimina siparietti comici e occhioni optando per una maggiore sobrietà narrativa, ma, a modesta opinione di chi scrive, perdendo molto della sua freschezza e rendendo le tavole meno briose. Insomma, la “vera” Waki Yamato rimane quella di Anne, che vi consigliamo di leggere.
Ultima nota: il manga di Anne è pubblicato in Italia da Star Comics, se invece desiderate gli illustration book giapponesi di Waki Yamato potete richiederli a fioridiciliegioadriana@gmail.com.








sabato 16 dicembre 2017

ITALIANI IN GUERRA


Qualche decennio fa, molti illustratori e fumettisti italiani vennero "arruolati" da riviste inglesi dedite alla pubblicazione di fumetti di guerra, segnalandosi soprattutto per le splendide e realistiche copertine. Artisti come Roy D'Ami, Giorgio De Gasperi, Alessandro Biffignandi, Nino Caroselli, Pino dell'Orco, ecc. portarono un contributo importante al fumetto anglofono. La casa editrice inglese Book Palace ha annunciato che il prossimo numero della splendida rivista Illustrators, per l'occasione intitolato "War is Hell", sarà uno speciale dedicato proprio agli italiani che lavorarono con la Fleetway (editore specializzato in era comics). Attendiamo con impazienza il numero, rammaricandoci del fatto che, al contrario, gli editori italiani non sembrano ricordarsi di tale patrimonio di immagini e talento. Come ha detto qualcuno, nemo propheta in patria.




sabato 2 dicembre 2017

NEVICA

Visto che sta nevicando, rispolvero un mio vecchio pezzo su neve e fumetti. Leggetelo stando vicino a un caminetto acceso.


Sembra incredibile, eppure ogni cristallo di neve è differente dall’altro. Così, quando milioni di piccoli fiocchi bianchi cadono dal cielo, ognuno di loro, pur partendo da una struttura esagonale di base, è unico, simile eppure diverso dagli innumerevoli “bianchi fratellini”. Certo, nulla impedisce che la sorte porti la natura a creare casualmente due fiocchi identici, ma l’evento è assai improbabile, un po’ come trovare due esseri umani uguali. È solo uno dei tanti elementi di fascino della neve, prodotto del cielo che ammanta di malinconia tutto ciò che ricopre, straordinaria fonte di materia prima per interminabili battaglie tra ragazzini, soffice tappeto su cui scivolare a bordo di slittini improvvisati o tecnologici sci. Ma la neve sa anche essere pericolosa, fredda e indifferente, accecare gli occhi e gelare i piedi, sorprendere il viaggiatore con la tempesta e cancellarne le tracce sotto nuovi fiocchi. Per tutti questi motivi e molti altri, come la collega pioggia, risulta utilissima a fini narrativi, presentandosi di volta in volta come un incantevole scenario o un terribile nemico.

Nei fumetti la neve è di casa. Innumerevoli sono le serie che la ospitano tra le proprie tavole, dalle strisce umoristiche ai serial avventurosi. La neve appare con grande frequenza nelle strisce e nelle tavole domenicali dei Peanuts di Charles Schulz, con Charlie Brown impegnato nella realizzazione di pupazzi di neve, e Snoopy che alterna momenti di euforia di fronte al cadere dei fiocchi con attimi di disperazione quando ricoprono la sua ciotola fino a farla sparire in una massa bianca e indistinta. Anche Calvin e Hobbes, di Bill Watterson, passano molto tempo tra paesaggi innevati, affontandosi in interminabili duelli a colpi di palle di neve, oppure costruendo pupazzi col classico naso di carota, o ancora sfrecciando su un piccolo slittino old style.
Dando una sbirciatina all’immenso serbatio disneyano di storie, oltre a una miriade di racconti natalizi nei quali la neve è un ingrediente fondamentale, ci si imbatte nella Saga della spada di ghiaccio, a firma Massimo De Vita. Questo ciclo narrativo, composto da quattro storie leggibili anche autonomamente, vede Topolino e Pippo trasportati in un mondo fantasy quasi sempre avvolto dalle neve, dove una volta tanto l’eroe è lo spilungone dalle orecchie penzolanti.

In alcuni fumetti il lato pericoloso della neve emerge con altrettanta forza. Come nel graphic novel Whiteout (noto in Italia anche col titolo Tutto Bianco) di Greg Rucka (testi) e Steve Lieber (disegno). Sorta di balzo indietro nel tempo, alla riscoperta del fumetto avventuroso e poliziesco americano, dalle tavole in bianco e nero arricchite da pochi retini, dall'avventura solida e realistica, Whiteout vanta buoni personaggi e un disegno che non fa gridare al miracolo, ma valido e funzionale. Ambientato nel claustrofobico mondo dell'Antartide, dove tutti sono prigionieri del gelo e di un bianco accecante fatto di ghiaccio e neve, mette in scena la misteriosa morte di un uomo e le conseguenti indagini dell'agente federale Carrie Stetko, che si trova nella “ghiacciaia” (così viene chiamata l'Antartide) quale punizione per il suo carattere ribelle. Carrie svolgerà fino in fondo il proprio lavoro, mettendo insieme un indizio alla volta fino all'individuazione del colpevole. Il personaggio torna nel successivo Whiteout Melt e ancora una volta ha parole dure per la distesa di neve e ghiaccio in cui si muove: “L’Antartide è una puttana assassina. Non sto esagerando. Sempre in attesa di un’occasione per ucciderti. Non è una questione personale. Al ghiaccio non importa. È semplicemente la sua natura.” Questa volta Carrie deve vedersela con i responsabili di un massacro avvenuto in un centro di ricerche russo, ma il suo avversario più temibile resta l’ambiente ostile, quella bianca e fredda sostanza che muta da neve in ghiaccio.  

Anche il fumetto giapponese vanta la sua bella dose di storie innevate, tra cui il volume La principessa bianca del gruppo al femminile CLAMP. Con un disegno ancora un po’ acerbo e una narrazione inesperta che talvolta incespica sui dettagli (si tratta di uno dei primi manga del gruppo), prendono comunque vita dei buoni racconti incentrati sulla neve e sulla sua principessa, Shirahime, che quando piange provoca la caduta di milioni di freddi fiocchi bianchi. Scorrendo le pagine dell’albo si respira un po' il gelido fiato dell'inverno, un po' il sapore di leggende lontane, immersi in una bicromia fatta più di bianchi che di neri.

Anche Jiro Taniguchi si sofferma sull’affascinante fenomeno atmosferico, dedicando alla neve uno dei capitoli dell’antologia L’uomo che cammina. Incentrato sulle passeggiate di un tranquillo signore di mezza età, perfettamente calato nel quotidiano giapponese, il volume offre incantevoli squarci nipponici: strette viuzze di quartiere, viottoli di campagna, ponti e boschi, e anche una nevicata inattesa che il protagonista osserva sorridente assieme a uno stupito compagno a quattro zampe. La neve torna insomma a essere una presenza gradevole, mostrando di possedere infinite sfaccettature in ambito narrativo, così come infinite sono le strutture che possono assumere i suoi cristalli. Miracoli della natura. E dei fumetti.