giovedì 26 aprile 2012

GLI ANNI DOLCI

Gran parte delle opere giapponesi di narrativa (romanzi, film, fumetti, ecc.) ruota attorno a un tema peculiare e delicato, quella della “distanza”. Una distanza non fisica, ma psicologica, la distanza che si crea tra un essere umano e l’altro e che è molto difficile da colmare, poiché non esiste alcun mezzo di trasporto in grado di accorciarla se non l’animo umano stesso. Per motivi culturali, sociali, psicologici, uomini e donne giapponesi, di qualsiasi età, faticano molto nel creare, gestire e mantenere relazioni interpersonali. La scarsa propensione a mostrare i sentimenti, la difficoltà nel dialogare sinceramente, l’estraneità al contatto fisico, delle regole sociali che fanno dell’omologazione la normalità, contribuiscono a rendere i rapporti umani freddi, per certi versi indecifrabili. Socializzare è difficile, stringere un solido rapporto di coppia (basato sui sentimenti oltre che sulla convenienza) difficilissimo. Ancor di più se questo legame unisce, o prova ad unire, persone di ceti differenti o anagraficamente molto distanti tra loro.
Questo lungo cappello per introdurre un romanzo, e un manga (fumetto giapponese) da esso tratto, che fa dell’incontro tra una giovane donna e un anziano professore il proprio fulcro. “La cartella del professore”, di Hiromi Kawakami (o Kawakami Hiromi, visto che i giapponesi scrivono prima il cognome e poi il nome), è una love story leggermente atipica per il lettore occidentale, non solo perché i due protagonisti sono divisi da una trentina d’anni di differenza, ma anche perché soggetti alle convenzioni di una cultura e di una società che non gli facilitano il già difficile compito. Tsukiko è una single che ha poco meno di quarant’anni quando incontra il professore in pensione Harutsuma Matsumoto. I due, in realtà, già si conoscono, poiché molti anni prima Tsukiko è stata sua allieva. Il localino che fa da palcoscenico a questo primo riavvicinamento è uno delle tante migliaia presenti a Tokyo, ove è possibile bere qualcosa e consumare tipici piatti locali, meta soprattutto di salaryman all’uscita dal lavoro. I due scambiano qualche parola e, praticamente senza mai darsi appuntamento, tornano a incrociarsi più volte in quello o in altri locali simili della zona. Il loro rapporto appare abbastanza freddo, eppure non perdono occasione per sedersi fianco a fianco davanti a un bancone e sorseggiare birra piuttosto che saké, stuzzicare piatti a base di funghi, pesce, alghe o altro ancora. I loro dialoghi sono asciutti, come la prosa di Kawakami, tipicamente giapponesi, tesi a smuovere la superficie piuttosto che ad andare in profondità, rispettando un’etichetta che non consente di addentrarsi nel personale e che quindi attribuisce a ogni parola un grande peso specifico. Questo lungo balletto di incontri fugaci e di frasi non dette assume perciò sfumature poetiche, ma per un occidentale è a tratti abbastanza incomprensibile. Basti pensare che Tsukiko chiama sempre, freddamente e impersonalmente, il proprio compagno di bevute “professore”, e che anche dopo molti incontri si offende per una domanda tutto sommato banale: “L’ha trascorso con il suo fidanzato, il Natale?” La donne è forse indispettita per l’intrusione nella sua privacy, forse perché senza averlo mai detto o pensato già vede il professore come il proprio fidanzato. Sono necessari ben due anni perché quella che potrebbe essere una relazione lo diventi veramente, trasformando il professore e la sua ex allieva una coppia a tutti gli effetti. La trasposizione del romanzo in fumetto (col titolo “Gli anni dolci”) avviene nel pieno rispetto dell’opera. Jiro Taniguchi (uno dei più importanti artisti della scena nipponica) rimane fedele alla storia e cerca di mantenerne integri il più possibile i dialoghi, non opera alcun intervento di sottrazione, al contrario arricchisce il lavoro della Kawakami col proprio disegno. Per nulla descrittivo per quel che riguarda le ambientazioni, il romanzo lascia al lettore il compito di immaginarsi i locali in cui avvengono la maggior parte degli incontri dei personaggi. Il manga, invece, può permettersi di mostrarli nel dettaglio, fornendo un interessante e affascinante spaccato del quotidiano nipponico. Quelle piccole sale, con avventori gomito a gomito davanti a un bancone sul quale il gestore/cuoco porge loro piattini di manicaretti giapponesi, acquistano tridimensionalità e si arricchiscono di particolari: ciotole, bacchette, menù scritti in kanji, tendine in stoffa, paraventi in legno e carta, piatti di verdure e tofu, interminabili file di bottiglie di saké. Pare quasi di sentire i rumori e gli odori di quei luoghi tanto semplici e tanto esotici al medesimo tempo. Lo stesso accade una volta varcata la soglia per tornare all’aperto, in viuzze piene di case in legno e vasi con piante, o grandi strade costeggiate da grattacieli e da interminabili file di insegne luminose. Il tratto di Taniguchi è di chiara matrice nipponica, pulito, preciso, attento all’essenziale, arricchito da un sapiente uso dei retini che trasformano il bianco e nero in una gradevole scala di grigi, mai soffocanti, anzi caldi e per nulla invadenti. Le tavole sono un preciso mosaico di vignette, spesso giocato sulle pause e sugli sguardi, con una perfetta gestione dei dialoghi ma anche dei silenzi, spesso più importanti dei primi. Curiosamente, per delineare il volto di Tsukiko, poco dettagliato dalla Kawakami, Taniguchi si rifà a quello della sua autrice. “Per Tsukiko ho usato Kawakami come modello!” spiega il mangaka. “Ogni volta che leggo i suoi romanzi, le protagoniste hanno sempre il loro volto.” In realtà, osservando foto e disegno affiancati, le due ci paiono abbastanza differenti, ma non è questo ciò che importa, bensì la capacità di mostrarne, attraverso rivelatorie espressioni, pensieri e sentimenti. Impresa difficilissima eppure completamente riuscita.
Hiromi Kawakami, La cartella del professore, Einaudi, pp. 182, euro 18,50 ***** Jiro Taniguchi, Gli anni dolci vol. I e vol. II, Rizzoli - Lizard, pp. 208 e 240, euro 17,00 cad.