“Ho iniziato a disegnare le prime storie sui banchi della scuola media, di nascosto dagli austeri professori di allora, che ti davano le bacchettate sulle mani quando ti scoprivano a fare qualcosa di diverso dal calcolo di quante parti di torta ti rimanevano se ne mangiavi tre quarti (magari!). Erano gli anni Cinquanta e si era fortunati quando si riusciva a rimediare un block notes a quadretti, mentre per l'album da disegno e i pastelli si doveva aspettare Natale!”
Così ricorda la sua infanzia Alberico Motta, una delle matite, e penne, più prolifiche del panorama italiano, che di quella originaria passione per le nuvolette ha fatto una professione.
Nato a Monza il 6 ottobre del 1937, Motta abbozza le prime storie a fumetti in giovanissima età, influenzato dalle storie lette sul settimanale Il Vittorioso. Dimostrando una notevole determinazione, oltre a un pizzico di sfacciataggine, ancora adolescente decide di proporsi a un editore.
“Mi rivedo ragazzino di 14 anni, con il blocchetto e una matita nella tasca dei calzoni corti un po’ sgualciti, ma con tanto coraggio da uscire dalla vecchia cascina della campagna monzese per avventurarmi con il tram nella grande Milano… e nessuna paura di presentarmi a un editore vero, uno che aveva il suo nome stampato sul giornaletto di Cucciolo e Tiramolla. Beppe Caregaro, un vero signore! Mi fece entrare nel suo ufficio e sedere accanto a lui, sulla poltrona di pelle nera. Si fece un sacco di risate con le mie storielle strampalate. Che successo!”
Quel ragazzino intraprendente è ancora immaturo, ma i consigli di Caregaro gli sono utili per migliorare i propri disegni, che continua a realizzare anche mentre frequenta l’Istituto Tecnico da Perito Industriale. Qualche anno dopo decide che è arrivato il momento di riprovarci e questa volta bussa alla porta dell’editoriale Dardo, il cui titolare, Gino Casarotti, lo invita a sostituire il ragazzo di redazione partito per il servizio di leva. È il 1954 e Motta comincia ad affrontare il lavoro di redazione (di pomeriggio, dopo la scuola), tagliando e impaginando storie a fumetti altrui, ma anche sviluppando la propria manualità completando vignette e scrivendo titoli. Inoltre, entra in contatto con alcuni professionisti del tempo, come Antonio Canale, la EsseGesse, Antonio Terenghi, Sandro Angiolini. Proprio quest’ultimo è il suo primo maestro, e gli insegna i fondamentali del disegno, quella tecnica necessaria per mettere sui giusti binari la sua creatività. È proprio in sostituzione di Angiolini che realizza le sue prime storie da professionista, brevi fumetti di Chicchirichì, buffo galletto protagonista di una testata, a cui seguono quelli di altri personaggi, come Romoletto, Stanlio e Ollio, Pachito e Lala, ecc. Si cimenta inoltre nella stesura delle prime sceneggiature e nella realizzazione di copertine, in stile realistico a tempera, per Capitan Miki e Blek.
Poiché in Dardo le testate umoristiche cominciano a scarseggiare, nel 1957 comincia a collaborare con l’Alpe, disegnando storie del simpatico Cucciolo e dell’elastico Tiramolla.
Dopo il servizio militare, il rapporto di amicizia con Pier Luigi Sangalli, con cui da ragazzino aveva disegnato il giornalino dell’Oratorio, favorisce l’approccio alla casa editrice di Renato Bianconi. Sono i primi anni Sessanta. Dopo aver scritto e disegnato storie di suoi personaggi – Ursus, Napoleone Sprint, Alì Salam, I due carcerati, Nerone e altri – Motta comincia a realizzare testi per altri autori dello staff. All’interno della struttura Bianconi diviene una sorta di direttore artistico, anche se ufficialmente non investito di tale responsabilità. Un ruolo, questo, inizialmente spettante a Michele Gazzarri, ma poi passato nelle mani di Motta, che all’interno di una divisione programmata dei compiti scrive quasi tutte le sceneggiature dell’editore, firmando circa 8.000 pagine l’anno per Soldino, Felix, Pinocchio, Chico, Braccio di Ferro, Provolino e molti altri. Anche Geppo viene a lungo sceneggiato da lui, dopo che Sangalli ha varato la testata del diavolo buono e ne ha tenute le redini per quasi due anni. Inoltre, Motta introduce il metodo dello storyboard, fornendo un maggiore supporto visivo agli artisti. In mezzo a tale sterminata produzione trova anche il tempo per alcuni progetti personali, come una testata tutta sua, Pierino (in seguito divenuto Niko), storie di Felix, Chico, Tom & Jerry e infine la serie Big Robot, sorta di risposta italiana all’invasione dei robottoni giapponesi, nella quale con un disegno pulito e plastico reinterpreta i topoi grafici del genere, personalizzandoli in modo piacevolissimo. A quel tempo per gli artisti italiani il futuro sembra nero, incapaci di far fronte all'invasione dei personaggi giapponesi che incantano telespettatori e lettori. Ma Motta non si arrende e impugna la matita per disegnare la propria serie robotica, Big Robot, che strizza l’occhio a quelle giapponesi ma è tutta made in Italy. Non solo, in un fumetto progettato per un pubblico di giovanissimi ha il coraggio di inserire temi difficili e delicati come la guerra nucleare, il suicidio, il diverso.
Alla ricerca di nuove opportunità e di nuovi stimoli, nel 1980 Motta approda allo staff di IF dedicandosi alla realizzazione di storie Disney per il settimanale Topolino, inclusa la prima colorata con tecniche digitali, e ad attività collaterali quali illustrazioni per manuali Disney, copertine di videocassette di cartoni animati e immagini pubblicitarie.
Col subentrare della crisi editoriale, negli anni Novanta si concentra sul mondo della pubblicità in qualità di art director di un’agenzia, mentre nel decennio successivo si occupa di comunicazione per importanti aziende. Ma la sua passione per il fumetto resta, manifestandosi nella cura di alcune mostre e nella ristampa di sue opere del passato, come la splendida serie di Big Robot parzialmente rieccitata da Kappa Edizione dopo essere stata restaurata e reimpaginata dalla stesso Motta.
Infine, un ricordo personale. Circa sei anni fa ho organizzato un incontro tra Motta e i lettori per una fumetteria locale. Motta vi ha partecipato con entusiasmo. Se il suo fisico mi è apparso un po' provato dall'età, la sua mente e la sua passione per il fumetto rimanevano vivacissime. Cortesissimo, dialogò con tutti e firmò copie di Big Robot con grandi sorrisi. Grazie di tutto, Alberico.
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