mercoledì 19 ottobre 2016

UOMINI O ROBOT?


È il 1921 quando lo scrittore ceco Karel Capek usa per la prima volta il termine robot (dalla radice cecoslovacca robota, "lavorare") per una sua opera teatrale dal titolo R.U.R. (Rossum's Universal Robots) in cui appaiono esseri non umani col compito di servitori. Creature artificiali, inizialmente non meccaniche, in realtà erano già apparse nel mondo della letteratura. Basti pensare al cane artificiale degli Argonauti e alla leggenda di Dedalo, al mito di Pigmalione e la sua Galatea, al gigante di bronzo Talos e al vero archetipo del robot, il Golem della tradizione ebraica. Nel XVIII secolo poi, l’era industriale trasforma la semplice "creatura artificiale" in "meccanica" o “elettrica". Tra la fine dell'Ottocento e dei primi del Novecento, sono tantissime le opere e gli autori (tra gli altri Jules Verne ed Edgar Allan Poe) che trattano l'argomento miscelando gli entusiasmi e i timori legati allo sviluppo scientifico. Esempio eclatante di tali sentimenti contrastanti è il celeberrimo Frankenstein (1818) di Mary Shelley, che si ribella al suo creatore. Grazie a lui, fino al 1939 i robot letterari soffrono di quello che è stato definito il "complesso di Frankenstein", secondo il quale queste macchine vanno contro le leggi naturali e divine, e sono quindi destinate a ribellarsi all'uomo. La situazione cambia, appunto, nel 1939 quando Eando Binder (pseudonimo collettivo dei fratelli Otto ed Earl Binder, all’epoca usato dal solo Otto) scrive il racconto Io, Robot (che in seguito verrà riutilizzato per una raccolta a tema di racconti di Isaac Asimov) in cui l'essere meccanico del titolo è un robot senziente ingiustamente perseguitato: la situazione si è capovolta, la macchina è innocente, gli esseri umani i malvagi. In seguito i robot proliferano nella letteratura di genere, la spesso sottovalutata fantascienza, ma diventano protagonisti, comparse, eroi e vittime anche di moltissimi fumetti e film. In questi anni duemila, quando i robot sono ormai diventati realtà (citiamo il solo robot giapponese Asimo a titolo di esempio), sembra che tutto sia stato detto sul tema. In effetti, anche recenti pellicole come Automata (del 2014), seppur stilisticamente perfette, fanno fatica a trovare spunti inesplorati. Gli autori dei vari media, tuttavia, non demordono e aggiungono costantemente nuovi tasselli, nuove opere, a un puzzle ormai gigantesco.
Lo fa anche Robotics, fumetto in divenire formato da racconti brevi leggibili autonomamente, ma incastrati in un complesso meccanismo narrativo e visivo che porta sulla carta un intero mondo, quello della Terra del futuro ormai condannata dagli abusi della razza umana. Un nuovo virus, incurabile e inarrestabile, stermina gli uomini e l’unica speranza consiste nel trasferire le proprie menti, le proprie coscienze, all’interno di corpi robotici. Ben presto, nessun piede in carne e ossa calpesta il suolo terrestre ormai devastato e desolato, ma solo gli arti metallici di coloro che un tempo erano uomini. In un certo senso viene ribaltato il presupposto che reggeva le storie di robot precedenti: mentre prima i robot anelavano a diventare uomini, in questo caso sono gli uomini che anelano a diventare robot. A rigor di logica, le nuove “creature” non dovrebbero essere classificate come robot, ma come cyborg (mezzi robot e mezzi umani) o androidi (esseri meccanici dalle fattezze antropomorfe), tuttavia, pare che il passaggio da organico a inorganico non sia così perfetto, che grandi parti della memoria vadano perdute, che la stessa coscienza si inaridisca. Alcuni robot si recano persino alla ricerca di un loro simile, chiamato Dreamer poiché in grado di restituirgli una capacità ormai perduta, quella di sognare. Acquista quindi senso la domanda che aleggia lungo le tavole: “eterni e indistruttibili, siamo ancora vivi, ma a quale prezzo?” Cosa fa di un essere vivente un essere umano? Certamente non la sola fisicità, non la sola organicità, ma la totale eliminazione di quest’ultima che conseguenze può avere su tutto il resto? Domande che forse troveranno risposta nel corso della lettura, o forse no, dopotutto la migliore narrativa non è quella che fornisce risposte, ma quella che solleva dubbi. Come fa per ora Robotics, col suo tratto cupo in parte in antitesi con l’idea stessa di robot, metallico e scintillante, ma in linea col greve mondo che deve raffigurare. La presenza di più disegnatori rende un po’ farraginoso il tutto, ma la rappresentazione dei robot, fulcro dell’opera, è azzeccata. Non manca l’inserimento del “cattivo” da contrastare, fondamentale in una storia che deve comunque mantenere una struttura avventurosa, e diverse sottotrame legate a differenti personaggi, che rendono il tutto maggiormente sfaccettato e intrigante. Nell’affollato panorama di storie robotiche, Robotics riesce insomma dire la propria, e lo fa in modo convincente. 



Paul Izzo, Claps Iemmola, Giacomo Pilato, Gaetano Matruglio
Robotics
Shockdom
pp. 80
euro 8,00

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