giovedì 11 febbraio 2016

MAPPE


Che cos’è una mappa? Secondo il dizionario della lingua italiana, si tratta della definizione grafica di un territorio. Ma chi vede una mappa come una rappresentazione oggettiva della realtà, di luoghi e distanze precisi e immutabili, non solo è in errore, ma si sta perdendo il meglio di ciò che una mappa può offrire: un complesso e sottile gioco di illusioni, misteri, sogni, promesse che scivolano silenziosi e ammiccanti lungo le linee stampate sulla sua carta. Da sempre, le mappe sono principalmente materia per esploratori e sognatori, anche in tempi moderni come i nostri. Ma in passato lo furono ancora di più. Durante il Medioevo e il Rinascimento oscuri estensori di tali affascinanti documenti tentavano, nella penombra dei loro studi, di dare forma al mondo. Desiderosi di riprodurre qualcosa di incredibilmente complesso, interessati a dare ordine al caos, destinati ad agire per approssimazione, tiravano linee e scrivevano nomi, coloravano fiumi e laghi, inserivano indicazioni numeriche. 
Con informazioni parziali, talvolta di seconda mano, con una scienza ancora inadeguata rispetto all'obiettivo, i cartografi del passato delineavano continenti e oceani, e dove non arrivavano con la logica supplivano con l'immaginazione. In tal modo lo sconosciuto, l'inesplorato, spesso assumevano le forme della fantasia o della paura: gli Oceani non ancora solcati da navi erano abitati da incredibili serpenti marini, le terre non ancora calpestate da piedi europei avevano contorni approssimativi e contenuti fantastici, fatti di Paesi ammalianti e creature leggendarie. Ma quello che più importa è che quelle cartine, che avrebbero dovuto essere una specchio del mondo, diventavano quasi sempre una visione soggettiva dello stesso, influenzata da scelte di potere (per secoli l'Europa è stata disegnata più grande di quello che è realmente), da pregiudizi o dal semplice desiderio di rendere il mondo simile a sé, cioé di proiettare sé stessi su di esso, piuttosto che accettare di esserne una minuscola parte.
E alle pulsione dei singoli spesso si sommavano gli interessi delle collettività, le pressioni dei sistemi di governo, l’egocentrismo e la brama di protagonismo di monarchi e dittatori per cui il proprio regno, il proprio mondo, doveva trovarsi al centro delle mappe e non collocato in zone periferiche. 

Ciascuna mappa, quindi, finiva per cristallizzare una visione estremamente personale del mondo, più che una realmente oggettiva. Come la prospettiva cristiana centrata su Gerusalemme della Mappamundi di Hereford del Tredicesimo secolo.  Così chiamata poiché custodita nella cattedrale inglese di Hereford, viene attribuita a Richard Haldingham che l’avrebbe disegnata tra il 1276 e il 1283. Basata su nozioni storiche, bibliche, classiche e mitologiche, piuttosto che geografiche, si poneva un obiettivo ben preciso, mettere la cristianità (simboleggiata da Gerusalemme) al centro del mondo.
Anche quando lo scopo era quello di creare la prima mappa scientifica, più precisa possibile, l’inganno restava dietro l’angolo. Come nel caso di Diogo Ribeiro, cartografo spagnolo di origine portoghese che nel 1527 disegnò la Padron Real, una mappa ufficiale (e segreta) usata come modello per tutte le mappe presenti sulle navi spagnole. Molto dettagliata per l’epoca, forniva comunque una visione iberocentrica del mondo, mentre le proporzioni di alcune regioni risultavano errate, come nel caso dell’India troppo piccola rispetto alla realtà. È forse proprio questa mappa a dare il via all’impostazione per cui l’Europa si trova sempre al centro del mondo nelle mappe del vecchio continente.
C’è poi il problema dei dettagli e, quindi, delle dimensioni. Per avere una mappa veramente precisa del mondo questa dovrebbe essere di dimensioni tali da non poter più venire maneggiata. Lo ha raccontato, ironicamente, anche Borges nella novella dal titolo Sull’esattezza della Scienza, incentrata proprio sull’ossessione della precisione. Eccone uno stralcio significativo. “In quell’Impero, l'Arte della Cartografia raggiunse tale perfezione che la mappa d’una sola provincia occupava tutta una città, e la mappa dell'impero, tutta una provincia. Col tempo, codeste Mappe Smisurate non soddisfecero e i Collegi dei Cartografi eressero una Mappa dell'Impero, che uguagliava in grandezza l'Impero e coincideva puntualmente con esso. Meno dedite allo studio della cartografia, le generazioni successive compresero che quella vasta mappa era inutile e non senza empietà la abbandonarono alle inclemenze del sole e degl’inverni. Nei deserti dell'Ovest rimangono lacere rovine della mappa, abitate da animali
e mendichi; in tutto il Paese non è altra reliquia delle Discipline Geografiche.”

L’imprecisione, il dubbio, l’ignoto, sono più intriganti delle certezze, per questo motivo le mappe incomplete e imprecise risultano più affascinanti di quelle perfette (ammesso che esistano). Lo racconta Michaal Chabon nel suo libro Mappe e Leggende. “È ben noto il potere che hanno le mappe di accendere l’immaginazione. È come osservare il Marlow di Joseph Conrad (dal romanzo Cuore di tenebra, ndr), non c’è mappa più seducente di quella segnata – come la cartina scolastica dell’Africa con i colori delle bandiere che lo condannò alla sua disperata ricerca – da dubbi e congetture, dallo spazio bianco del territorio inesplorato.” 
E l’incertezza (o la certezza fantastica) domina in un altro genere di mappe, quello dedicato a mondi immaginari di cui diventano le fondamenta. Pare infatti impossibile creare un nuovo mondo senza prima averne tracciato sulla carta i contorni, vergato con l’inchiostro i nomi dei suoi luoghi più significativi, delineato catene montuose e corsi d’acqua. Come visualizzare nella mente il favoloso mondo de Il Signore degli Anelli, con la pletora di creature e culture che lo popolano, senza aver visionato la suggestiva mappa della Terra di Mezzo disegnata da J. R. R. Tolkien? La fantasy, in particolare, sembra non potere fare a meno delle mappe, in grado, in un solo colpo d’occhio, di dare forma (e quindi realismo, o quantomeno verosimilità) a un intero costrutto fantastico. Ecco quindi le mappe di Harry Potter e quelle delle terre Hyboriane della saga heroic fantasy di Conan, il nerboruto barbaro inventato da Robert E. Howard.

Poi ci sono le mappe dedicate non a mondi, continenti, regioni, ma a luoghi più limitati, definiti. Luoghi che celano oggetti particolari, manufatti preziosi, ricchezze immense. Sono le mappe del tesoro, tanto care alla narrativa avventurosa. È persino superfluo citare la celeberrima mappa dell’Isola del tesoro, punto di partenza e cardine del romanzo di Robert Louis Stevenson. Ma nella fantasia degli scrittori, fumettisti inclusi, non è sempre necessario che le mappe siano disegnate su carta, quando possono trovarsi su teschi, oppure tatuate sulla pelle di qualche personaggio. Espediente, quest’ultimo, utilizzato anche in diversi film. Come nello spaghetti western Ringo, il volto della vendetta, nel quale due ex detenuti portano tatuata sulla schiena la metà di una mappa che porta a un tesoro nascosto e che, quindi, può essere ritrovato solo unendo le due parti.   

La mappa come passaporto dell’avventura, come punto d’arrivo e di partenza, come biglietto per un viaggio periglioso. In fondo, il vero tesoro sono le mappe stesse: da trovare, studiare, comprendere, nascondere, interpretare. E, alla fine, che il tesoro venga trovato o meno, resta la mappa, affascinante e misteriosa, depositaria di mille informazioni e mille segreti. 

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